Via libera dell’Ue alla decisione della Lituania di bloccare il transito di merci verso l’enclave russa sul Baltico. I guai interni dei governi europei necessitano irresponsabili tamburi di guerra?
Dopo una moltitudine di fragorosi e strombazzati colpi a salve, l’Ue sembra voler davvero scherzare con il fuoco. Il governo della Lituania ha infatti apertamente violato il Trattato del 1993 e annunciato il blocco del transito della merci verso l’enclave russa di Kaliningrad, di fatto territorio a tutti gli effetti parte della Federazione russa sul Baltico e stretto fra due falchi atlantisti come appunto Vilnius e la Polonia.
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Un milione di abitanti, oltre metà dei quali residenti nella sola città di Kaliningrad, l’enclave di colpo ha visto il 50% delle merci che riceve dall’import della madrepatria (fra cui carbone, metalli, materiali da costruzione e tecnologia avanzata) a rischio di blocco immediato da una rigida applicazione delle sanzioni europee, in base alle quali sono vietati i trasferimenti di beni da una parte all’altra del territorio russo, se questo contempla il passaggio su suole Ue. Il governatore di Kaliningrad, Anton Alikhanov ha invitato i cittadini a non cedere al panico e lanciarsi in acquisti spropositati che possano mettere in difficolta la filiera ma a far paura è la reazione di Mosca. La quale, giova ricordarlo, a Kaliningrad ha schierato testate nucleari.
A inizio aprile, infatti, quando l’Ue stava spingendo per un quinto pacchetto di sanzioni che si rivelasse letale per l’economia russa e che generasse impasse e malcontento nella politica interna del Cremlino, Bruxelles minacciò ritorsioni contro la decisione di dispiegare missili balistici nell’enclave. Ma la risposta della Federazione fu durissima: se fosse posto in essere un blocco che isolasse Kaliningrad, questo - oltre che una violazione del Trattati - si configurerebbe come un atto di guerra. E la Russia sarebbe costretta a rompere quell’assedio, poiché metterebbe a rischio la vita e l’incolumità di cittadini russi. Al momento, tutto appare sospeso. In molti, infatti, credono a un atto dimostrativo di Bruxelles in risposta al taglio dei flussi di gas posto in essere da Gazprom nei giorni scorsi verso Italia, Germania e Francia.
Il timing, poi, appare tutt’altro che casuale. Il 23-24 giugno si terrà infatti il Consiglio Europeo, in testa alla cui agenda c’è proprio la rinnovata volontà europea di continuare a sostenere Kiev con l’invio di armi. Di più, l’impegno bellico appare decisamente più netto da parte dei medesimi tre governi colpiti dalla ritorsione di Gazprom, quantomeno dopo la visita a Kiev di Macron. Draghi e Scholz. I quali, però, al netto della fotografia a metà fra il Dottor Zivago e la zingarata di Amici miei, devono affrontare acque decisamente agitate in patria. L’inquilino dell’Eliseo è uscito con le ossa rotte dalle legislative e ora è ostaggio di 44 voti da cercare ogni volta che il suo governo intenderà far passare un provvedimento, mentre il cancelliere tedesco ha dovuto giocoforza attivare il piano di emergenza energetica e annunciare un ritorno in grande stile al carbone, questo nonostante la presenza esiziale dei Verdi nella sua maggioranza.
Di più, questo grafico

mostra come poco fa il dato sui prezzi alla produzione abbia segnato un record assoluto: +33,6% su base annua a maggio e con il prezzo dell’elettricità salito del 90,4% e quello dei fertilizzanti del 110,9%. Praticamente, la certificazione di contrazione del Pil forse già nel secondo trimestre. Certamente nel terzo e su base macro preoccupante. Mario Draghi, dal canto suo, oltre al terremoto in casa M5S che rischia di far traballare il governo, deve fare i conti con le fibrillazioni di Lega e Forza Italia in vista dei ballottaggi delle amministrative di domenica prossima. E, soprattutto, con il combinato di black-out energetici sempre più frequenti e razionamenti dell’acqua ormai inevitabili. Altro che premio dell’Economist. Insomma, alzare la tensione e puntare sul blame on Putin appare la via d’uscita più semplice e immediata. Ma per Mosca, Kaliningrad equivale ai fili dell’alta tensione. E l’Ue pare intenzionata a stenderci il bucato.
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