La nuova sfida è potenziare il territorio. Ma cosa vuol dire veramente?

Davide Bottalico

14/12/2020

Come saranno usati in ambito sanitario i 209 miliardi di euro fino al 2026 messi a disposizione dal Recovery Fund?

La nuova sfida è potenziare il territorio. Ma cosa vuol dire veramente?

Ormai come un mantra sentiamo ripetere in tutti i vari dibattiti televisivi, e leggiamo ovunque, che la chiave della rifondazione del nostro Sistema Sanitario Nazionale sarà il potenziamento delle strutture insite nel territorio che dovranno bilanciare il carico di lavoro assistenziale che oggi grava prevalentemente sugli ospedali. Letta così la cosa appare logica ma quando si prova a scendere nel dettaglio si capisce che in realtà le idee non sono del tutto chiare e soprattutto non esiste un piano di azione definito.

Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Salute

È stata presentata al Consiglio dei Ministri la bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che descrive come verranno utilizzati fino al 2026 i 209 miliardi messi a disposizione dell’Italia dal Recovery Fund. Il Piano si articola su 4 linee guida e 6 missioni, a loro volta suddivise al loro interno in “componenti”, ossia aree di intervento funzionali a realizzare la strategia definita dal Governo. A ognuna di queste aree è stata assegnata una quota sul totale delle risorse.

La prima cosa che però balza subito all’occhio di chi comincia a guardare le cifre è proprio la suddivisione delle risorse e sarà stato un caso che la cifra assegnata alla Salute coincida proprio con i 9 miliardi dei 209 totali? Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti dei cosiddetti “spiccioli” e in ogni caso non proprio la pioggia di denaro tanto sventolata, ribadita e sottolineata da mille dichiarazioni che iniziavano con “adesso che i soldi ci sono…”

Ognuno si formi il proprio personale giudizio a riguardo ma la lettura del grafico delle priorità di investimento è veramente impietosa.

Fonte grafico: Salute Digitale

Per avere un’idea su quanto siano state disattese le aspettative di tutti, alcuni componenti dell’attuale governo inclusi, basti pensare che si parlava, in tempi non sospetti, di 68 miliardi necessari a rifondare il nostro SSN messo in ginocchio dalla attuale pandemia.

Quindi partendo dal presupposto che i soldi ci sono, ma non nella quantità attesa, bisognerà davvero stare molto attenti agli investimenti da mettere in campo. Andiamo a vedere dunque il dettaglio di questi 9 miliardi per farci un’idea.

Fonte grafico: Salute Digitale

Assistenza di Prossimità, Telemedicina, Sanità digitale e Innovazione

I termini che vengono usati per descrivere gli interventi in cantiere sembrano essere quelli giusti. Poco più della metà degli investimenti sarebbero diretti alla telemedicina e alla assistenza di prossimità (avrei preferito che si fosse utilizzato il termine Telesalute più allineato alle ottime Linee Guida Nazionali emanate nel lontano ormai 2012) con il pericolo che però i fondi si disperdano in mille rivoli che andrebbero ad alimentare l’attuale organizzazione del Sistema socio-sanitario ed assistenziale attuale piuttosto che ridisegnarlo. I concetti di cittadino povero e cittadino malato cominciano purtroppo a collidere soprattutto nelle fasce più anziane della popolazione e comincia a emergere il tema di povertà sanitaria che porterebbe però alla lunga a distogliere risorse dirette alla gestione delle cronicità e degli anziani fragili che durante questa pandemia hanno pagato il prezzo più caro.

Le restanti risorse si intuisce che siano dirette all’ammodernamento tecnologico e digitale del sistema sanitario, da una parte con annesso potenziamento della ricerca e dell’innovazione e un lodevole sforzo di investimento in formazione del personale sanitario dall’altra. Questo secondo blocco di investimenti fa pensare sicuramente ad un miglioramento di tutta la parte gestionale ma sarà davvero importante capire quanto sarà dedicato all’hardware piuttosto che al software; in parole povere comprare computer di ultima generazione da mettere negli ospedali è molto semplice, adottare e far funzionare piattaforme che gestiscano dati salute è tutt’altro lavoro.

Tanti progetti, molti dubbi ma soprattutto pochi soldi

Rimaniamo dunque in attesa di maggiori dettagli che chiaramente adesso non possono esserci, ma se dovessimo suggerire subito qualcosa certamente sarebbe diretta a far notare che a fronte di quanto declinato probabilmente i soldi non basteranno. Si pensi che la Francia solo per ammodernare la parte di digitalizzazione delle strutture pubbliche ospedaliere ha stimato una spesa superiore ai 2 miliardi di euro. Inoltre perché non si comincia a parlare di cabina di regia del nuovo SSN che dovrebbe in qualche modo centralizzare l’organizzazione di un paese dove in realtà di SSN ne esistono 20, uno diverso e con regole diverse per ogni regione? I colori differenti che in questi giorni si alternano sulla mappa geografica italiana sono appunto frutto di questa organizzazione figlia del Titolo V.

Credo che alcuni aspetti andrebbero rivisti soprattutto sulla scorta dell’esperienza di quanto vissuto con l’anagrafe nazionale della popolazione residente. Altro tema è poi la definizione di territorio, molti stati occidentali, si stanno muovendo nella direzione delle Smart Home per assicurare assistenza e sicurezza sanitaria tra le mura domestiche (il vero territorio) ma di tutto questo nel nostro piano di resilienza non vi è traccia. Per ultimo, ma certamente tema di non minore importanza, alcune scelte fatte in passato (vedi fascicolo sanitario elettronico, ma non solo quello) andrebbero ridiscusse alla luce delle nuove tecnologie, non dimentichiamoci che stiamo parlando di innovazione e di tecnologia che corrono molto velocemente rendendo tutto anacronistico a cominciare dal pensiero di chi queste cose le dovrà costruire.

I contributi firmati riflettono l’opinione dell’autore e non necessariamente la posizione di Takeda

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