Luglio 2019, gli Usa annunciano un +50% di gas esportato all’Ue. Missione compiuta

Mauro Bottarelli

27 Marzo 2022 - 19:26

All’evento organizzato dall’Aspen Institute presso l’Ambasciata italiana a Washington, l’allora ministro Rick Perry preconizzava la fine della dipendenza da Mosca. E un boom dell’export entro il 2030

Luglio 2019, gli Usa annunciano un +50% di gas esportato all’Ue. Missione compiuta

L’8 e 9 luglio del 2019, l’Ambasciata italiana a Washington ospitò una due giorni organizzata dall’Aspen Institute Italia dal titolo decisamente significativo: Italia, Europa e Stati Uniti: affrontare i cambiamenti inevitabili in modo intelligente. Alla presenza di economisti, politici e personalità di alto rango dei due Paesi e sotto l’egida dell’ambasciatore, Armando Varricchio, il grande cerimoniere e istrione della conferenza fu l’allora ministro dell’Energia dell’amministrazione Trump, Rick Perry.

Uomo pragmatico, solido e decisamente improntato al fare. Insomma, classica attitudine più da businessman che da politico. Non a caso, l’allora presidente gli affidò uno dei capitoli più importanti dell’agenda America first. L’energia, appunto. L’America, grazie alla rivoluzione del fracking, puntava a diventare una potenza esportatrice e la dipendenza europea dalle pipeline russe rappresentava un bersaglio straordinario. I classici due piccioni con una fava: profitto e geopolitica in un sol colpo. Gli Stati Uniti – spiegò Rick Perry, il quale prima di fare il ministro dell’Energia fu governatore del Texas per quindici anni, dal 2000 al 2015 - esportano al momento gas liquefatto in 36 nazioni. Il nostro obiettivo è quello di espandere il mercato tanto da riuscire a collocare almeno la metà dell’incremento produttivo del 50% di gas LNG previsto al 2030.

E ancora: Gli Stati Uniti sono contrari alla realizzazione del nuovo gasdotto Nord Stream 2 e al gasdotto turco di cui si parla da anni. Al momento undici paesi europei dipendono per il 75% del loro approvvigionamento energetico dal gas russo. L’auspicio è che questa percentuale possa scendere a favore delle quote di mercato per le eccedenze di gas americano. L’auspicio. Cui seguì l’esempio concreto. Rick Perry citò chiaramente la Polonia come modello da seguire, poiché Varsavia aveva già concordato con Washington un aumento delle importazioni di LNG e solo pochi mesi prima la società polacca Pgnig aveva siglato un contratto ventennale con American Venture Global LNG per la fornitura di due milioni di tonnellate di gas liquefatto l’anno.

E il prezzo? LNG costava infatti il 20% in più rispetto al gas russo via pipeline, a causa dei necessari processi di trasformazione per facilitare il trasporto via mare. Di fatto, anche uno dei grandi interrogativi emersi in questi giorni, dopo che la mossa russa sul pagamento in rubli ha accelerato i piani statunitensi di intervento nella fornitura, ancorché per controvalori pari a un decimo di quanto giunge via Yamal-Europe. All’epoca, Rick Perry lasciò platealmente aperta una porta al negoziato con l’Italia e con altri Stati membri, ricordando come l’anno precedente - durante proprio una visita in Polonia -, il presidente Trump promise consegne di enormi quantità di LNG a buon prezzo. Al riguardo, l’Aspen Institute Italia suggerì che il governo italiano prevedesse delle politiche fiscali di detassazione da parte dell’amministrazione per le aziende produttrici ed esportatrici di gas Usa.

E quando l’Aspen Institute parla, solitamente a Roma ascoltano. E non per qualche strano complotto. Semplicemente perché vanta fra i membri del suo board, personaggi che la politica non può permettersi di ignorare. Ad esempio, un economista di indubbia capacità analitica e di pensiero eterodosso come Giulio Tremonti come presidente e l’attuale numero uno della Consulta e padre del prelievo pro-Europa, Giuliano Amato, come presidente onorario. Da febbraio, poi, fra i soci compare anche la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Un’affiliazione spuntata a ridosso del viaggio di accreditamento internazionale alla Convention repubblicana in Florida e decisamente utile per allontanare le ombre nostalgiche di alcune inchieste cadute nel nulla ma utilissime a suo tempo per inviare segnali. Non a caso, la leader della destra sulla questione Ucraina è totalmente allineata al governo e alla Nato. E in maniera ancora più smaccata il suo rappresentante social presso la società civile e la classe imprenditoriale, Guido Crosetto.

Insomma, tutto pare andato come doveva andare. Nessun complotto. Nessuna agenda parallela. Poiché fin dall’8-9 luglio del 2019, l’agenda era chiarissima. Lapalissiana. Spezzare la dipendenza Ue e italiana dalla Russia. Quando ancora l’operazione militare in Ucraina non era nemmeno nell’aria e, anzi, l’inquilino della Casa Bianca era da più parti ritenuto esso stesso una pedina della strategia russa contro l’Occidente. Fra un hacker e l’altro, invece, Trump tramite Perry lavorava per Biden. Erano i giorni del governo Conte I e ministro degli Esteri era il tecnico indipendente, Enzo Moavero Milanesi, già ministro per gli Affari europei dei governi Monti e Letta. A detta di tutti, una scelta bizzarra per un esecutivo decisamente rivoluzionario. Il 23 marzo dello stesso anno, Italia e Cina siglarono il famoso memorandum d’intesa relativo alla Via della Seta che fece non poco irritare Washington. E qualcuno azzardava acquisti di BTP da parte della Banca centrale russa.

Il caos totale, il piede in almeno tre scarpe. Fast forward a oggi: nel mese di febbraio, l’Italia muove pesantemente le sue pedine per ottenere investimenti russi. In questo caso, quando già i tank del Cremlino erano in viaggio verso la frontiera. Poi, di colpo, la conversione a falco tra i falchi. Non a caso, giungono i due avvertimenti diretti, inequivocabili e senza precedenti. Prima l’avviso di conseguenze irreversibili in caso di inasprimento delle sanzioni, poi la querela dell’ambasciatore contro La Stampa e la sua frase tutt’altro che sibillina: Nel 2020 abbiamo teso la mano all’Italia, morderla non è onorevole. Il tutto, mentre il presidente Joe Biden alza a dismisura il tiro sul Cremlino, obbligando la stessa Casa Bianca al gioco del poliziotto buono e cattivo. Location della pericolosa recita a soggetto, Varsavia. Un’altra volta.

Nessun complotto. Nessuna agenda parallela o nascosta. Ma per favore, neppure la mera narrazione di un’invasione unicamente e unilateralmente frutto della follia imperialista di un pazzo. Le vittime innocenti e civili di un conflitto di interessi miliardario ed esiziale non meritano anche questo oltraggio.

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