I senatori di FdI avevano presentato, in tempi non sospetti, una mozione al senato prevedendo quello che si sta verificando nella trattativa Unicredit-MPS.
Un mozione presentata al Senato a prima firma Adolfo Urso e sottoscritta da tutti senatori di FdI, il 24 Febbraio scorso, aveva già previsto quello che si sta purtroppo verificando in queste ore nella vicenda Unicredit-MPS. Le richieste di Unicredit sembrano aver convinto il governo a interrompere le trattative, giudicando un eventuale accordo troppo oneroso per i contribuenti italiani.
Adesso però si tratterà di convincere l’Europa a una proroga dei tempi cosa che sta creando non pochi imbarazzi. La Commissione europea, infatti, per dare il via libera all’operazione di salvataggio dell’istituto di Rocca Salimbeni, aveva preteso nel 2017, che dopo cinque anni lo Stato sarebbe uscito dal capitale della Banca. Il termine scadrebbe quindi il 31 Dicembre di quest’anno.
Da notizie di stampa si apprende che nella mozione per realizzare l’obiettivo di riprivatizzazione è prevista una «dote» che sembra diventare sempre più onerosa e che potrebbe superare la quota di 10 miliardi di euro: un importo assolutamente non tollerabile nell’attuale contesto sociale e dei conti pubblici; pare, infatti, che oltre ai 2,5 miliardi per la ricapitalizzazione e agli altri 2,5 miliardi di DTA (deferred tax asset), cioè imposte attive differite, così come previsto dalla legge di bilancio, occorre aggiungere il costo, sempre a carico dello Stato, derivante dall’acquisto, da parte della società pubblica Amco, di crediti deteriorati - almeno 8 miliardi per gli NPL del MPS e altri 20 per quelli di Unicredit a un prezzo che appare fuori mercato - per non parlare dell’ulteriore costo della manleva che sarebbe sempre a carico dello Stato (attraverso l’intervento di un’altra azienda pubblica).
Davvero sorprendente la previsione fatta dai senatori di FdI nel febbraio, quando tutti invece manifestavano grande ottimismo sulla positiva conclusione dell’accordo. Fa un po’ sorridere ora, pensare alle affermazioni dell’allora ministro dell Economia, Pier Carlo Padoan, quando nel 2017, all’indomani dell’ingresso dello Stato nel capitale sociale di MPS per salvaguardarla dal fallimento, asseriva che lo Stato non ci avrebbe rimesso un euro e anzi avrebbe guadagnato vendendo le azioni. Tutto questo con l’aggravante che il suddetto Padoan ora è il presidente di quella stessa Unicredit, che dovrebbe acquisire ora MPS.
Lo Stato, alla luce di quelle che sono le condizioni imposte dall’istituto di Piazza Gae Aulenti, guidato da Andrea Orcel- non meno di 7 miliardi di euro di aumento di capitale- perderebbe eccome da un accordo che appare assai penalizzante per il governo e di conseguenza per i contribuenti italiani.
Ora la trattativa rischia di saltare e il governo è pronto a chiedere, come già richiesto dalla suddetta mozione al Senato di Febbraio, un rinvio di sei mesi almeno alla commissione Europea, per trovare una soluzione alternativa per cedere la sua partecipazione in MPS. Ma occorrerà trovare appunto un nuovo acquirente interessato a prendersi in carico una banca, che come dote porta la sua grande storia: un mare di debiti e una ancestrale commistione con una certa politica locale senese, che la rende sicuramente una preda scomoda per chiunque.
Forse se il governo a inizio anno avesse guardato con maggiore attenzione a quelle che era il contenuto di una mozione, chissà magari non si sarebbero persi tutti questi mesi a inseguire una trattativa, che già fin dall’inizio, sembrava avere poche possibilità di concludersi positivamente.
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