Merkel contro Draghi: a rischio il futuro dell’Eurozona?

Livio Spadaro

17 Novembre 2016 - 18:00

Angela Merkel starebbe pensando di ostacolare Draghi per ottenere maggior consenso in patria arginando l’AFD. Eppure, la BCE e Draghi si trovano in un vicolo cieco.

Merkel contro Draghi: a rischio il futuro dell’Eurozona?

E’ notizia di oggi che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, stia pensando di non sostenere più le politiche monetarie della BCE e quindi di riflesso il presidente Mario Draghi. La mossa della cancelliera tedesca deriverebbe dal successo che sta avendo in Germania il partito populista dell’AFD, il quale sta raccogliendo consensi in un bel pò di Regioni teutoniche.

Il partito populista è un accanito avversario delle politiche monetarie dell’EuroTower oltre che dell’Unione Europea (sopratuttto sul versante migranti). La Merkel, per cercare di porre un freno al consenso dell’AFD, vorrebbe ingraziarsi i suoi concittadini ostracizzando Draghi. Tuttavia, tutto questo ha un prezzo, salato, da pagare.

Merkel contro Draghi per ottenere maggior consenso in Germania?

Secondo le notizie di stampa di oggi, Angela Merkel starebbe pensando di voltare le spalle al presidente della BCE Mario Draghi. Il numero 1 dell’EuroTower è stato, negli scorsi mesi, oggetto di aspre critiche in Germania poiché i politici tedeschi credono che i tassi negativi ed il Quantitative Easing stiano mettendo sotto pressione i risparmiatori e i contribuenti tedeschi, favorendo invece quelli dei Paesi meno virtuosi.

Draghi è dovuto intervenire al Bundestag per due volte nel giro di un mese, nel tentativo di difendere l’operato della BCE. L’istituto centrale con sede a Francoforte ha dovuto mettere in campo misure straordinarie per cercare di stimolare l’inflazione ed evitare il crack dei Paesi periferici, i quali con rendimenti dei titoli di Stato troppo elevati rischiavano di essere insolventi.

BCE per ora ha fallito nel raggiungere i target di inflazione

La BCE ha sempre difeso con forza le opzioni messe sul tavolo, ricordando in ogni occasione che i tassi di interesse rimarranno a lungo bassi o che potrebbero essere tagliati ulteriormente. Il Quantitative Easing, invece, dovrebbe concludersi a marzo 2017 anche se i mercati si aspettano che la scadenza verrà prorogata di qualche mese nella riunione di dicembre.

Le politiche di tassi a zero e del Quantitative Easing non stanno raggiungendo l’obiettivo sperato, ossia quello di raggiungere il target di inflazione del 2%. I Paesi del Sud Europa, in particolare, continuano a sperimentare una deflazione strutturale mentre in Germania qualche evidenza timida di inflazione si sta in qualche modo palesando.

Germania colpita da tassi a zero, ecco perché

Il problema per i tedeschi, comunque, non è tanto l’inflazione quanto invece il sistema pensionistico e le perdite sui risparmi. I tassi a zero hanno spinto in negativo i rendimenti obbligazionari ed unitamente ai tassi negativi dei depositi si stanno colpendo i risparmi dei tedeschi. Bloomberg fa notare che la Germania è il Paese europeo con più depositi:

Le banche tedesche sono invece quelle che dipendono di più dai prestiti ed il contesto attuale degli spread negativi rende la loro redditività pari a zero:

Gli istituti tedeschi, come abbiamo visto, in realtà non sono colpiti unicamente dai tassi ma più che altro dalle perdite derivanti dalla finanza spericolata. Possiamo dire, in linea generale, che la bassa redditività causata dalle politiche BCE abbia in realtà fatto venire a galla i reali problemi degli istituti tedeschi.

BCE: Germania vorrebbe Weidmann al posto di Draghi

La Germania dunque vorrebbe scalzare Draghi e mettere al suo posto un tedesco, come il numero 1 della BundesBank, Jens Weidmann, più incline ad utilizzare politiche più appropriate per i Paesi “core” dell’Eurozona.

Eppure, una tale soluzione avrebbe come conseguenza la fine di quest’ultima. Le politiche della BCE hanno infatti sinora tenuto in piedi i Paesi del Sud Europa che con tassi più elevati rischierebbero il default.

Eurozona in un vicolo cieco?

Se la BCE dovesse accontentare le richieste dei Paesi più forti della zona Euro, si avrebbe in cambio una richiesta di riforma dell’Unione da parte dei Paesi periferici, pena l’uscita da questa.

I movimenti populisti ed anti-Euro che si registrano nel Sud Europa, ma anche in Paesi del nord, spingono a pensare che l’Europa Unita potrebbe non avere vita lunga.

Anche nel caso in cui la BCE continui ad utilizzare l’attuale politica monetaria, o addirittura rafforzandola, spingerebbe i Paesi più danneggiati, cioè quelli core, ad abbandonare Eurolandia per difendere i sistemi pensionistici e i rendimenti dei titoli sovrani.

Eurozona: il primo nemico è Donald Trump?

La Merkel, quindi, in ogni caso avrebbe le mani legate. Pur cacciando Draghi (in che modo è ancora da capire), la cancelliera tedesca non eviterebbe la rottura dell’Eurozona, cosa che sarebbe devastante per il sistema bancario tedesco che è piuttosto esposto ai debiti dei Paesi periferici. Non bisogna poi dimenticare che la nuova amministrazione americana non sembra avere grossa simpatia per l’Euro e l’Unione Europea.

Lo dimostrano gli attacchi di Juncker e Shulz a Trump ed il fatto che quest’ultimo non ha mai avuto un contatto con Juncker (referente UE) da quando è stato eletto, pur avendo avuto invece contatti con 29 leader mondiali.

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