Morgan Stanley e 4 funzionari del Tesoro, secondo la Corte dei Conti, sarebbero responsabili di un danno erariale per l’Italia da 4,1 mld nell’ambito dello scandalo derivati. I dettagli della vicenda.
Morgan Stanley, l’accusa della Corte dei Conti e lo scandalo derivati - Nel periodo in cui imperversava la crisi dello spread e del debito pubblico italiano - ovvero tra il 2011 e il 2012 - alcuni ex dirigenti del Ministero del Tesoro avrebbero effettuato operazioni d’azzardo sui derivati coi soldi degli italiani, costringendo poi lo Stato a chiudere di punto in bianco i contratti ad elevato rischio con la banca d’affari americana Morgan Stanley, proprio mentre il loro costo lievitava a causa dello spread.
Questa l’accusa formalizzata dalla Corte dei Conti, che stima un danno erariale di 4,1 miliardi di euro.
Oltre a Morgan Stanley, sono stati convocati dalla magistratura contabile italiana anche Maria Cannata (direttore del dipartimento Debito pubblico e firmataria di molti di quei contratti dal 2000 ad oggi), il suo predecessore Vincenzo La Via, l’ex ministro dell’Economia per il governo Berlusconi ed direttore generale del Tesoro Domenico Siniscalco (il quale poi è andato a lavorare proprio per Morgan Stanley), e Vittorio Grilli, anche lui ex ministro dell’Economia ed ex direttore generale del Tesoro, ora in Jp Morgan.
Morgan Stanley e lo scandalo derivati: la clausola ATE
Nel mirino dei pm contabili c’è una clausola ATE (Additional termination events) sottoscritta dal governo italiano nel 1994 che consentiva a Morgan Stanley di chiedere unilateralmente allo Stato italiano la chiusura immediata di tutte le sue posizioni debitorie nei confronti della banca d’affari in una soluzione unica, nel caso in cui l’esposizione creditizia avesse oltrepassato una soglia stabilita.
E Morgan Stanley ha chiesto l’attivazione di questa clausola proprio tra il 2011 e il 2012, nel pieno della bufera dello spread, costringendo il governo Monti a sborsare 3,1 miliardi di euro.
Soldi che secondo la Corte dei Conti non sarebbero dovuti uscire dalle casse dello Stato e che i responsabili - nel caso in cui le accuse dovessero essere confermate - dovranno rimborsare con gli interessi.
Ai 3,1 miliardi, infatti, la magistratura contabile sommano 725 milioni di interessi per il costo del finanziamento aperto per coprire i costi derivanti dalla chiusura dei contratti e 277 milioni di flussi negativi generati dalla swaption.
Morgan Stanley e lo scandalo derivati: “scommesse” coi soldi degli italiani
I magistrati sottolineano anche
“l’anomalo collegamento tra i giudizi di rating e la formazione dei contratti di derivati, cui a volte consegue l’emersione di una situazione di conflitto d’interessi tra le società di rating e gli istituti bancari”.
Le persone invitate a comparire hanno a disposizione 30 giorni per fornire prove a loro discolpa, e se queste ultime non dovessero essere ritenute sufficienti, la Corte dei Conti potrà portare in giudizio i soggetti interessati.
Inoltre, nel mirino dei magistrati contabili ci sarebbero alcune operazioni precedenti, considerate ancora più speculative.
“Scommesse” che avrebbero ad esempio consentito a Morgan Stanley, grazie a una swaption del 2004, di incassare ben 1,3 miliardi di euro a fronte di una erogazione di credito iniziale di appena 47 milioni di euro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA