Tra meno di un mese ci saranno le nuove elezioni presidenziali americane e gli indici rispondono di conseguenza.
Mancano 20 giorni al verdetto presidenziale, e gli elettori americani - e insieme a loro il pubblico internazionale che ha in portafoglio azioni di Wall Street per diversificare il rischio - continuano a votare quotidianamente, con soldi veri, sul futuro degli Stati Uniti.
Aumentando, diminuendo o mantenendo invariata la loro quota di titoli USA, in sostanza trasmettono aspettative, ansie, speranze. Il risultato sono le quotazioni dei tre maggiori indici, la cui evoluzione racconta meglio delle parole come e quanto le politiche della Casa Bianca da fine 2016 siano state valutate dagli investitori.
L’8 novembre 2016, giorno di elezione di Trump, il Dow Jones era a quota 18.332 punti, l’inizio della corsa al massimo di 29.551 del 3 febbraio 2020, prima del crollo post Covid a 19.173 del 23 marzo, e della forte risalita a 28.586 del 9 ottobre. Alle stesse date, i due altri indici mostrano “altalene” simili. S&P500: da 2139 su a 3379, giù a 2304 e su a 3477. Nasdaq: da 5193 su a 9725, giù’ a 6879 e su a 11.579. La gestione economica governativa, per così dire fisiologica fino al febbraio 2020, è stata poi stravolta dalla pandemia e dalla recessione indotta dal lockdown.
Ciò ha provocato una risposta eccezionale, del presidente e del congresso bipartisan, concretizzatasi subito in tre massicci stimoli finanziari consecutivi in primavera-estate. Nel recente weekend la maggioranza e l’opposizione hanno avviato una quarta manovra di sostegno ai settori ancora in grave crisi.
Le percentuali di crescita degli indici, dal citato Orso del 23 marzo ad oggi, sono impressionanti: il Dow Jones ha guadagnato il 49,1%, lo S&P500 il 50,9%, il Nasdaq il 68,3%. Come leggere questi trend? La media dei sondaggi curata dal sito di analisi politica Real Clear Politics promuove Trump in economia (50,9% di americani sono a favore e 47,1% contro, per un vantaggio di 3,8 punti percentuali) ma lo boccia nel rating di stima generale del suo lavoro (44,5% a favore e 53,5% contro, per uno svantaggio di 9 punti).
Se queste rilevazioni, costanti da tempo, annunciano una sconfitta netta di Donald Trump, vuol dire che i mercati, ossia i risparmiatori, hanno mostrato entusiasmo in questi ultimi mesi di Toro per la prospettiva di una vittoria di Joe Biden? Penso proprio di no.
Miracolo trumpiano versus incubo liberal
Il programma economico dei Democratici prevede l’annullamento della legge dei tagli fiscali passata in Congresso dai Repubblicani, con un aumento delle tasse generalizzato, per famiglie dal medio reddito in su, e per i profitti delle imprese. Il regime delle deregolamentazioni promosso da Trump, che è stato la molla per liberare gli “spiriti animali” degli imprenditori e per creare milioni di posti di lavoro, sarebbe spazzato via da un ministero dell’economia già promesso, dice il gossip di Washington, a Elizabeth Warren.
La senatrice di Boston, riconosciuta leader della sinistra dei DEM, è alleata del senatore socialista Bernie Sanders e della deputata Alexandria Ocasio Cortez, la promotrice del Nuovo Patto Verde. Insieme, il terzetto ha nel mirino Wall Street e le banche. Del resto, il partito di Biden-Kamala Harris ha promesso di rivoluzionare il sistema economico-sociale americano con l’obiettivo di redistribuire la ricchezza in senso progressista, sfruttando l’emergenza del coronavirus. Ma proprio il virus, quando venerdì 2 ottobre è stato lo stesso presidente Trump ad annunciare d’esserne stato contagiato, ha mostrato il sentimento dei mercati.
I derivati sulle azioni statunitensi, europee ed asiatiche sono scesi istantaneamente: i contratti future sia per l’S&P 500 sia per il Dow hanno perso più del 2%, mentre i prezzi del petrolio sono crollati di oltre il 3%.
E allora? L’interpretazione più’ realistica del trend favorevole degli indici ingloba diversi fattori. Innanzitutto, l’esito delle elezioni non è affatto scontato, a sfavore del presidente, per tanta parte del paese. Gli stessi Democratici, ammaestrati dalla lezione di Hillary Clinton, temono una brutta sorpresa riconoscendo la scarsa statura di Joe Biden, che lo stesso Obama si era rifiutato di appoggiare nel 2016, e ancora nel 2020 fino a quando non era rimasto che il solo Joe in lizza tra i DEM.
E gli estimatori delle capacità economiche di Trump non se la sentono di “votare con i piedi” scaricando le azioni di Wall Street. Magari lo faranno nelle ultime settimane prima delle urne, se temono davvero che il “miracolo trumpiano” si possa trasformare in un “incubo liberal”. Per adesso mantengono le posizioni, ed anzi le fortificano.
Tra le ragioni di chi resta investito c’è pure un binomio di fiducia. Tattica e/o strategica. Nel breve termine, dal voto di novembre potrebbe uscire una nuova Casa Bianca senza Trump, ma anche un Congresso diviso, com’è oggi, tra il Senato al GOP e la Camera ai DEM. E uno stallo di poteri impedirebbe ai Democratici di distruggere l’impianto normativo, business friendly, costruito dai Repubblicani. Sul piano strategico, l’America si presenta come l’attore economico-finanziario più creativo e produttivo nel mondo.
Capace - finora - di riemergere con successo dalle sfide, esterne ed interne, alla propria sicurezza e al proprio marchio di democrazia capitalistica liberale.
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