La relazione del ministero delle Infrastrutture sulla Grande Opera Incompiuta per eccellenza esclude la fattibilità del tunnel ma lascia aperto il dubbio sulle altre due soluzioni proposte negli anni. E propone di spendere altri soldi per un progetto che verrebbe così rallentato di altri anni
Una relazione di 158 pagine firmata dalla Struttura Tecnica di Missione per l’indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l’alta sorveglianza e pubblicatasul sito del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fa tornare d’attualità la discussione sul ponte sullo Stretto di Messina.
Ma c’è un punto che potrebbe tornare a bloccare tutto.
Ponte sullo stretto di Messina, una o tre campate?
Con ordine. Nei giorni scorsi è arrivato a conclusione lo studio di fattibilità del progetto cominciato quando era ministra Paola De Micheli e ora approdato alla sua forma definitiva con Enrico Giovannini. Con due progetti alternativi. Il primo è quello a cui ha lavorato la società Stretto di Messina, vecchia eredità dell’Iri e posta in liquidazione dal 2013. Come general contractor era stato individuato nel consorzio Eurolink con a capo Impregilo (ovvero Webuild). Su quel progetto si è intanto aperto un contenzioso da 700 milioni.
Nella relazione si legge che questo progetto prevede «un ponte sospeso tramite due torri sulla terra ferma ed unica campata centrale sul braccio di mare per una luce di 3,3km collocato nella zona di minima distanza tra le sponde». L’accesso al ponte è previsto tramite raccordi e gallerie ferroviarie e stradali di notevole estensione. Il secondo è un progetto che non prevede un’unica campata ma tre. L’esempio che viene proposto è quello del ponte Akashi, realizzato nel 1998, che «presenta una luce centrale di circa 1996, due pile in alveo e due campate laterali di 1000m per una lunghezza totale di circa 4000».
Il terzo progetto invece è quello del Tunnel Galleggiante Sommerso o in alveo «posizionato sotto il livello del mare e vincolato al fondale tramite sistemi di ancoraggio. Il sistema è basato su tecnologie e soluzioni ingegneristiche sperimentate in progetti e costruzioni eseguite in acque profonde per lo sviluppo di giacimenti di idrocarburi in mare». E viene presentato con la consapevolezza, espressa nel dossier, che ci sono molte problematiche sconosciute o poco conosciute che potrebbero emergere durante la costruzione, tanto da sconsigliarne la fattibilità.
Un ponte a tre mandate da villa San Giovanni a Messina
La soluzione preferita dai tecnici è quella del ponte a tre mandate che colleghi Villa San Giovanni a Messina per una lunghezza totale di 3,2 chilometri. Le motivazioni che la fanno preferire sono che l’infrastruttura sarebbe meno esposta ai rischi di chiusura per il vento e che avrebbe il vantaggio di arrivare fino a Messina.
Anche se i tecnici scrivono che in ogni caso «andrebbero approfonditi i temi relativi alla risposta delle pile in acqua rispetto ad eventi sismici e alle forti e variabili correnti marine. Infine, questa soluzione consentirebbe di utilizzare parte degli studi effettuati per la progettazione del ponte a campata unica per la similitudine tecnologica delle due soluzioni».
Per il resto, «rispetto al ponte a campata unica, il ponte a più campate potrebbe avere una maggiore estensione complessiva e mantenere al tempo stesso la lunghezza della campata massima simile a quelle già realizzate altrove e, quindi, usufruire di esperienze consolidate, anche dal punto di vista di tempi e costi di realizzazione».
In più, «il sistema con ponte a più campate consentirebbe di localizzare il collegamento in posizione più prossima ai centri abitati di Messina e Reggio Calabria, con conseguente minore estensione dei raccordi multimodali, un minore impatto visivo, una minore sensibilità agli effetti del vento, costi presumibilmente inferiori e maggiore distanza dalle aree naturalistiche pregiate».
Il dilemma delle campate che blocca il ponte sullo Stretto
Ma è proprio questo il punto che in realtà non ha ancora ricevuto una risposta precisa. E che potrebbe di nuovo bloccare tutto. Per servire i 10 milioni di passeggeri e il milione e ottocentomila automobili che ogni anno prendono il traghetto per andare dalla Sicilia alla Calabria è meglio una sola campata o tre? Il dossier spiega che non essendo mai stato realizzato un ponte a un’unica campata così lungo è meglio utilizzare il progetto a tre campate che avrebbe due piloni a stabilizzarlo.
Ma lo stesso dossier spiega che prima di sapere se la soluzione a tre campate è valida sarà necessario condurre indagini geofisiche, geologiche, geotecniche, fluidodinamiche e analizzare gli effetti delle correnti marine, la presenza di faglie e sedimenti che possono subire deformazioni, spostamenti, rottura o liquefazione. E poi bisogna anche considerare che un terremoto «di magnitudo M > 6,5» potrebbe avere effetti imprevedibili sui piloni.
C’è chi ha ricordato che proprio i pericoli per i piloni portano alla bocciatura del progetto a tre campate nel 1990 da parte degli esperti Robert Whitman e Abraham Van Weele, che esclusero la soluzione a causa delle forti correnti che avrebbero reso arduo l’affondamento dei piloni. I tecnici però non si perdono d’animo e sostengono che un ulteriore studio dal costo di altri 50 milioni potrebbe dare la risposta definitiva sulle tre campate. E far preferire così una o l’altra soluzione. Ma il problema a questo punto diventa proprio questo. Vale la pena spendere altri soldi oltre ai 350 buttati negli anni (e in attesa di sapere come si definirà il contenzioso con Webuild) per poi magari scoprire che era meglio non farne nulla e rimanere sulla soluzione originaria della campata unica?
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