Il neoliberismo ha mostrato tutti i suoi limiti e debolezze, dalla crisi del 2008 a oggi. Occorre un modello economico che rimetta al centro l’uomo e si affranchi dalle fredde previsioni di calcolo.
Viviamo nell’era del “Post” inteso come evoluzione e momento di riflessione di ciò che ci ha caratterizzato finora. Una connotazione che su alti tavoli di riflessione applichiamo alla democrazia, alla modernità all’ideologia ma non ancora all’economia. La domanda sul perché non se ne parli sorge spontanea, specie di questi tempi nei quali il sistema economico e sociale ha vissuto più di qualche scossone, tanto per usare termini eufemistici.
Una prima risposta senza troppi giri di parola ce la fornisce Francesco Maggio nel suo libro “Post Economia” edito da Armando Editore il cui sottotitolo recita “L’utopia possibile per una società più giusta": i primi responsabili di mancate risposte e, di conseguenza soluzioni, sono gli economisti stessi i quali si sono dimostrati incapaci in più di un’occasione di ripensare alle regole economiche che hanno imperato nell’ultimo secolo e si sono arroccati su se stessi e su previsioni numeriche senza rimettere l’uomo con tutte le sue contraddizioni e la sua emotività al centro del sistema.
A pensarci bene la nostra intera esistenza è permeata da un linguaggio mutuato dall’economia e teso al guadagno o al risparmio: fin qui nulla di male se non fosse che una determinata terminologia traduce nella nostra quotidianità, il prodotto stesso del neoliberismo dove, come citava Plauto in una sua famosa commedia, homo homini lupus (l’uomo si comporta da lupo verso i suoi simili), creando delle disuguaglianze a livello sociale davvero enormi. Perché tale situazione non cambia? La risposta, purtroppo, è fin troppo scontata: tale forma mentis è radicata a tal punto nel nostro DNA che l’establishment stesso ha creato uno stato di emergenza continuo dove numeri, calcoli, algoritmi e previsioni hanno avuto la meglio annullando ogni connotazione umana dell’economia.
In realtà vari premi Nobel hanno provato rimettere in discussione il modello neoliberista parlando di finanza comportamentale ma ancora siamo lontani da un modello che possa accogliere il pensiero e tutta la sua potenza nella disciplina economica. C’è bisogno di sana contaminazione con altri campi del sapere, soprattutto con materie di tipo umanistico e non cercare di capire il mondo e dispensare soluzioni stando seduti alla propria scrivania come scriveva Angelo Baglioni, Direttore dell’Osservatorio Monetario.
The Queen Question, la crisi delle “econocrazie” e la necessità di un pensiero utopico
Correva l’anno 2008, siamo all’indomani della più grande crisi economica del secolo che ha visto chiudere i battenti della Lehman Brothers e il mondo intero rischia un tracollo. Un momento storico di cui paghiamo ancora le conseguenze aggravato da due anni di pandemia. In quel momento, però, fu un’innocente quanto tagliente domanda della Regina Elisabetta a fare scacco matto a tutti gli economisti. Durante la cerimonia di inaugurazione di un nuovo padiglione della prestigiosa London School of Economics, la sovrana chiese al rettore e alla autorevole platea di sapienti come mai la crisi non fosse stata prevista. Quella che apparentemente sembrò un’innocente domanda, passò alla storia come la Queen Question a cui, lì per lì, nessuno seppe dare una risposta sensata.
Fu proprio quella l’occasione in cui la conventicola degli economisti dovette ammettere il proprio fallimento causato da una sclerotizzazione del sistema stesso involuto in vere e proprie “econocrazie” che come spiega il politologo Maurizio Ferrera altro non sono che quelle raccomandazioni e indicazioni che vengono proprio dagli economisti e con implicazioni e influenze potenzialmente negative sulla vita dei cittadini e della democrazia stessa. Stando così le cose pare che non vi sia una via di uscita e che la nostra evoluzione umana da sapiens a homo oeconomicus sia irreversibile.
In realtà un barlume di speranza vi è e nasce proprio dal basso, ossia da tutto quel movimento di filantropia e buona volontà che anima il Terzo Settore (a cui l’autore non risparmia critiche e pungenti osservazioni) che in più di un’occasione hanno dato un contributo fattivo verso chi ne aveva bisogno; un po’ come gli “eroi silenziosi” istituiti da Sergio Mattarella. Siamo in un’epoca di transizione molto evidente e se non poniamo subito rimedio è possibile che manchiamo un appuntamento che ci possa far fare un notevole passo avanti e che trasformi quell’utopia davvero in una società più giusta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA