Liberi professionisti e evasione fiscale: i prelievi su conto corrente sono in nero?

Federico Migliorini

9 Gennaio 2015 - 14:28

Prelievi bancari da parte dei professionisti: vediamo gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale per gli accertamenti o i contenziosi ancora in corso.

Liberi professionisti e evasione fiscale: i prelievi su conto corrente sono in nero?

I prelievi dal conto bancario effettuati dai professionisti senza giustificazione non possono essere considerati automaticamente compensi in nero. Ad affermarlo, come ormai sappiamo è la sentenza della Corte Costituzione 6 ottobre 2014 n. 228, secondo la quale l’estensione, ai professionisti, della presunzione in base alla quale i prelievi ingiustificati dai conti correnti rappresentano ricavi non dichiarati è incostituzionale (articolo 32, comma 1, n. 2) secondo periodo del DPR n. 600/73).

A tale decisone la Corte è giunta a seguito dell’ordinanza emessa dalla CTR Lazio n. 27/29/2013, con la quale i giudici tributari rimettevano la questione in merito, appunto, alla legittimità di applicazione di tale normativa anche ai liberi professionisti, e non solo ai titolari di reddito di impresa, dubitando della ragionevolezza della norma.

Se, infatti la presunzione che un prelevamento non giustificato costituisca compenso non dichiarato può essere sostenuta per le imprese, per le quali i prelevamenti non giustificati potrebbero essere sintomatici di acquisti di beni “in nero”, successivamente rivenduti sempre “in nero”, per i professionisti l’eventuale acquisto di un bene non fatturato non comporta necessariamente una prestazione in evasione d’imposta, dato che manca una concreta correlazione tra i costi sostenuti e i compensi realizzati.

Il tentativo di applicare, ai professionisti, tale presunzione lede quindi il principio di ragionevolezza e di capacità contributiva: è arbitrario, quindi, ipotizzare che tali prelievi siano destinati a un investimento nell’ambito dell’attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito di natura professionale.

Effetti della sentenza
L’incostituzionalità della presunzione ha importanti risvolti sugli accertamenti in corso e su quelli passati non ancora divenuti definitivi.

Per gli accertamenti già notificati e oggetto di contenzioso, dovrebbe essere lo stesso giudice a sollevare la questione e ad assumere le conseguenti decisioni ritenendo non provata la pretesa dell’Ufficio di maggiori compensi, data la non applicabilità della presunzione. In ogni caso, conviene al contribuente e a chi lo rappresenta in giudizio sottolineare questa circostanza, se non già nel ricorso introduttivo o nell’appello, attraverso la presentazione di una memoria illustrativa, prima dell’udienza. In caso di esistenza di una pronuncia sfavorevole al contribuente, occorre impugnarla, eccependo la decisione della Corte Costituzionale ed evidenziando la sua rilevanza per la contestazione in essere.

Se, invece, i termini per proporre il ricorso non sono ancora scaduti, conviene evidenziare l’incostituzionalità della norma, sia in sede di eventuale adesione sia mediante presentazione di un’istanza di autotutela, per chiedere la revisione dell’accertamento già emanato.

Se, infine, l’atto di accertamento non è ancora stato emanato, pur essendo pendente un PVC, conviene che il contribuente e chi lo rappresenta si facciano comunque parti diligenti, ricordando l’esistenza della decisione della Corte Costituzionale e le sue conseguenti implicazioni.

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