La sentenza tedesca sul Quantitative Easing è un problema per l’intera Eurozona. Le possibili conseguenze
La sentenza tedesca sul Quantitative Easing potrebbe avere conseguenze particolarmente evidenti sull’intero blocco della moneta unica.
Quanti avevano sperato in una totale assoluzione del programma si sono dovuti ricredere e la corte costituzionale di Karlsruhe ha scatenato una nuova ondata di discussioni sul QE e sulla validità delle decisioni della BCE.
Nella sentenza sul Quantitative Easing i giudici tedeschi hanno lanciato un vero e proprio ultimatum all’istituto di Christine Lagarde, che dovrà rispondere a queste richieste entro 3 mesi o la Bundesbank uscirà dal programma di acquisti. Quanto accaduto ieri, hanno fatto notare numerosi osservatori, potrebbe minare pian piano la tenuta del blocco.
Le conseguenze della sentenza tedesca sul QE
Le decisioni della corte costituzionale di Germania non imporranno l’immediato stop del QE e non avranno effetti sul nuovo programma PEPP da 750 miliardi di euro lanciato a marzo per combattere l’emergenza coronavirus.
Esse, comunque, hanno già sollevato diversi dubbi sulla tenuta dell’Eurozona e sul reale valore delle decisioni della BCE.
Inizialmente numerosi giornali hanno riportato erroneamente la notizia parlando di un Quantitative Easing completamente assolto dai costituzionalisti tedeschi, ma le cose in realtà sono andate diversamente. La sentenza della corte, infatti, è risultata tutto fuorché una totale accettazione del QE.
Karlsruhe ha specificato di non aver riscontrato violazioni del divieto di finanziamento monetario degli Stati ma ha in qualche modo tentato di far emergere la prevalenza del diritto interno su quello europeo. In che modo?
La corte ha dato alla BCE 3 mesi di tempo per giustificare il Quantitative Easing. Se l’istituto di Lagarde non proverà che gli obiettivi di politica monetaria non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale risultanti dal programma ,allora la Bundesbank si ritirerà dal QE.
In pratica i giudici hanno da un lato confermato la legalità del QE rispetto al divieto della monetizzazione dei debiti pubblici nazionali, ma dall’altro hanno sollevato subbi sulla sua incompatibilità con il principio di proporzionalità dei trattati europei, secondo cui l’azione dell’Unione deve essere limitata a quanto necessario per raggiungere gli obiettivi fissati.
“Tuttavia, se gli Stati membri dovessero astenersi completamente dal condurre qualsiasi tipo di revisione «ultra vires», concederebbero agli organi dell’UE un’autorità esclusiva sui trattati anche nei casi in cui l’UE adotti un’interpretazione giuridica che equivarrebbe essenzialmente a una modifica del trattato o a un’espansione di le sue competenze. Laddove si verifichino, la prospettiva costituzionale potrebbe non corrispondere perfettamente alla prospettiva del diritto dell’UE dato che, anche ai sensi del trattato di Lisbona, gli Stati membri restano i «padroni dei trattati» e l’UE non si è evoluta in uno stato federale”.
Questo uno dei passaggi chiave della sentenza tedesca.
Come anticipato, le decisioni della corte non hanno sfilato la Bundesbank dal QE ma hanno lanciato un vero e proprio ultimatum alla BCE sollevando nuovi dubbi e perplessità sul futuro dell’istituto centrale: le sue scelte da oggi in poi saranno in grado di risultare efficaci ed efficienti?
Che Europa diventerebbe con un ridimensionamento del potere della BCE e delle sue prerogative riguardanti i programmi da attuare? Domande che hanno dato il via a un acceso dibattito nel quale si sono inserite le posizioni meno ottimistiche, secondo cui la sentenza tedesca sul QE potrebbe essere l’inizio della fine per il blocco.
Le decisioni dei giudici, come anticipato, potrebbero portare la Germania fuori dal Quantitative Easing che sta continuando a un ritmo di 20 miliardi al mese. Somme alle quali aggiungere i 120 miliardi aggiuntivi pensati per combattere il coronavirus. Senza Berlino, il programma perderebbe la sua fetta più importante di acquisti.
Nonostante la sentenza abbia riguardato soltanto il QE, essa ha sollevato dubbi sulle attuali e future azioni della banca centrale. Secondo numerosi osservatori, quanto accaduto ieri aprirà le porte a nuove azioni legali anche contro il PEPP, pensato per affrontare l’emergenza COVID-19.
Per Lucas Guttenberg, deputy director del Jacques Delors Centre di Berlin, da oggi in poi le discussioni non si fermeranno e continueremo a chiederci continuamente fin dove potrà spingersi la BCE. Il timore, insomma, è che a causa della sentenza ogni decisione dell’istituto centrale verrà messa in discussione.
Secondo Joachim Wieland, professore di legge della University of Administrative Sciences, quanto accaduto ieri darà l’idea che ciascun Paese potrà tranquillamente ignorare le decisioni che non gli piacciono. Una concezione che potrebbe portare alla disgregazione del progetto europeo.
La risposta della BCE alla sentenza
Il Consiglio Direttivo si è riunito in via telematica per discutere di quanto accaduto. Al termine della chiamata, la BCE ha dichiarato di aver preso atto della sentenza tedesca sul QE ma ha ricordato come la corte UE abbia già sancito senza giri di parole la legalità del programma.
“Il Consiglio Direttivo rimane pienamente impegnato a fare tutto ciò che è necessario nei termini del suo mandato per assicurare la risalita dell’inflazione verso livelli consistenti con il target di medio periodo e per far sì che le azioni di politica monetaria prese nel perseguimento dell’obiettivo della stabilità dei prezzi siano trasmesse a tutte le parti dell’economia e a tutte le giurisdizioni dell’area euro”.
La sentenza sul QE ha tutto fuorché assolto il Quantitative Easing e l’azione della BCE. Il dibattito, probabilmente, non si esaurirà tanto presto e metterà in luce ancora una volta tutte le difficoltà interne del Vecchio Continente.
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