Quanti malati di tumore non abbiamo operato a causa del Covid

Chiara Esposito

17 Ottobre 2021 - 18:05

I primi dati che ricostruiscono il danno sanitario per i non malati di Covid. Una mappatura completa è complessa, ma i valori parziali sono già preoccupanti.

Quanti malati di tumore non abbiamo operato a causa del Covid

Il Covid-19 ha catalizzato l’attenzione del sistema sanitario, così come quella dei media e delle istituzioni, lasciando indietro altre tipologie di patologie e, conseguentemente, di malati.

Tanti sono stati i casi di visite saltate, interventi posticipati e screening rimandati che ora, a distanza di tempo dallo scoppio dell’epidemia così come della sua fase critica, si traducono in diagnosi mancate e in un’incidenza maggiore di pazienti a rischio totalmente dimenticati.

Solo di recente infatti si è iniziato a parlare dell’effetto disastroso che questa mobilitazione unilaterale e massiccia ha avuto soprattutto sui pazienti oncologici. Alcuni enti pubblici, tra cui l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), stanno provando a quantificare il danno e indicare con delle mappature del territorio le zone più colpite per improntare un migliore assetto organizzativo per piani di intervento riparatorio. La strada però è in salita: stiamo stimando le conseguenze di una problematica alquanto complessa da indagare nella sua interezza.

In termini scientifici questo fenomeno si chiama «burden of disease» e resterà un tema caldo da qui ai prossimi mesi. La speranza è quella di imparare dell’errore commesso.

Agenas; i dati sugli interventi oncologici persi

Agenas sta lavorando ad nuova sezione del proprio sito web chiamata «resilienza». La stessa, prendendo in esame il periodo che va da gennaio a dicembre 2020 indica, regione per regione, il numero di interventi effettuati nel 2020 in confronto al medesimo periodo del 2019, stimando il gap dovuto alla pandemia. Tali dati provengono dalle schede Dimissioni Ospedaliere (Sdo) del ministero della Salute (aggiornate al 16 aprile 2021).

Da questa analisi incrociata appare evidente come siano stati eseguiti il 13% di interventi chirurgici oncologici in meno con un picco negativo da marzo a giugno 2020.

Nello specifico possiamo registrare il 29% di interventi prioritari in meno al colon e il 28% alla tiroide, il 20% alla prostata e il 19% alla mammella, il 18% in meno sui melanomi e l’11% in meno per quello all’utero. Queste pratiche rientrano nella classe di priorità A, ovvero quella che, da definizione ministeriale, prevede un ricovero entro massimo 30 giorni. Casi clinici che insomma sono definiti ad alto rischio di aggravanti.

Gli screening ritardati sarebbero stati ben 540mila: una riduzione del 48,8 per cento rispetto al 2019. Le perdite, settorializzate per tipologia di tumore, sono: 2.383 lesioni pre-cancerose alla cervice, 2.793 alla mammella e 1.168 carcinomi e 6.667 adenomi avanzati al colon-retto.

La questione delle diagnosi è infatti cruciale tanto quando l’intervento stesso operato dai medici: è una questione basata sulle tempistiche che fa, dei controlli previsti, l’unico baluardo di speranza per la salute del soggetti.

Numeri ancora parziali: difficoltà nella ricostruzione

Com’è evidente solo alcuni tipi di forme tumorali sono oggi presenti nell’archivio Agenas. Restano ancora fuori interventi di neurochirurgia, gli interventi al fegato, all’esofago, allo stomaco, e via dicendo.

Il motivo è semplice: questi interventi, che sono i più copiosi numericamente, sono ancora in stati di analisi.

L’ostacolo più grande è l’interoperabilità dell’informazione. Alcune informazioni sono insomma difficili da leggere e reperire perché, come spiega Alessandro Gronchi, responsabile della Chirurgia dei Sarcomi dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e presidente della Società Italiana di Chirurgia Oncologica:

«Le sale operatorie in molti ospedali sono state riconvertite a sale di rianimazione per cui pur essendo la chirurgia oncologica prioritaria, l’attività non ha mai potuto rispondere alle reali necessità. I chirurghi e gli anestesisti nella maggior parte degli ospedali sono stati inoltre impegnati nei reparti Covid con percentuali variabili tra 33% e 39%».

L’alternativa è l’analisi delle spese e dei costi e al momento ci sta pensando Iqvia con il supporto di Farmindustria tramite il rapporto «Osservatorio sull’impatto della pandemia Covid-19 sull’accesso alle cure» . Dallo stesso emerge che a marzo 2021 viene rilevata la contrazione del settore farmaceutico attorno al -3,6%. Questo ha comportato la limitazione di accesso ai trattamenti sia in ospedale che in farmacia.

Il dilemma è stato quindi di tipo organizzativo. Per Gronchi la soluzione sarebbe portare avanti degli investimenti volti a recuperare il maggior numero di casi, ma anche e soprattutto «rendere l’infrastruttura del sistema sanitario pubblico meno rigida».

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