Secondo molti ormai è un vero e proprio business: la situazione reale dei tamponi rapidi e l’incasso per le farmacie italiane.
Un’aria di forte contestazione verso le spese per i tamponi (e non solo) c’è da tempo ma ora, è il momento di smentire o confermare il sentire popolare? Quello dei test è veramente un business delle farmacie?
Alcuni addetti ai lavori parlano di boom di tamponi ma non di guadagni però, a fronte delle elevate richieste, il dubbio e la discussione non possono esaurirsi in così breve tempo.
Ormai in coda non ci sono solo gli irriducibili no vax che vanno a farsi il tampone ogni 48 ore per evitare l’inoculazione; da dicembre ad oggi con l’avanzata di Omicron e del suo elevato tasso di contagiosità foraggia la necessità di effettuare spesso un tampone anche per gli altri. Mettersi in fila è una costante per moltissimi italiani.
Questo fenomeno di massa ha portato tanti scettici a chiedersi quali siano i guadagni per ogni prestazione delle farmacie, assediate ad ogni ora per ottenere un esito da test rapido.
In quest’analisi i molecolari, rimasti ad appannaggio di privati ed Asl, anche a causa dei costi esorbitanti su cui spesso si è speculato, non sono nel mirino. Prendiamo in considerazione solo il tipo di test antigienico che forse quasi tutti i cittadini del Bel paese hanno fatto almeno una volta da due anni a questa parte.
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Il guadagno dei farmacisti
A fronte della media stabile di quasi 200mila tamponi al giorno ci si chiede quanto vale il business dei tamponi. Le prime analisi, secondo Today parlano di una cifra che oscilla tra i 5 e i 7,5 milioni di euro al giorno. Ai cittadini infatti il tampone rapido valido per il Green Pass costa 15 euro ma questo ormai è risaputo; la vera incognita rimane il margine di guadagno delle farmacie.
La premessa doverosa è che il mercato propone ampia scelta di tamponi ormai ma ad eccezione dell’italiana Dia-Sorin dobbiamo notare come siano quasi tutti prodotti in Cina. Al netto di ciò «al momento non c’è alcun problema di approvvigionamento». La rassicurazione arriva da Alessandro Albertini, vicepresidente di Adf, una delle due associazioni che raccolgono i distributori.
La filiera da attenzionare e ricostruire è infatti questa: i distributori farmaceutici fanno accordi con intermediari che poi vendono i test a un prezzo compreso tra i 2,5 e i 3 euro. Quindi, come passaggio successivo, diciamo che le farmacie, a seconda del tipo di tampone, spendono 3,5-4 euro a tampone. Lo scarto è il compenso dei distributori.
Se i conti non ci tradiscono resta un bel margine ma il tutto è (parzialmente) da rivedere. Il Giorno riporta che il costo del lavoro del farmacista è stimato in circa 5 euro per 10 minuti di assistenza al paziente portando la spesa sale a salire attorno ai 10 euro a tampone.
Il vero margine, il margine netto, è quindi di 5 euro a prestazione.
Sottrazioni che abbassano le soglie degli introiti
Ricordiamo però che questa attività comporta anche dei costi che spesso rimangono «sommersi». Lo stesso Albertini spiega che per fare i tamponi «ogni volta vanno cambiati i guanti e la mascherina. In certi casi si deve sostituire anche il camice monouso. Diciamo quindi che sono altri 2 euro di materiale».
Restando sempre sul calcolo del compenso del personale c’è un altro scarto sul «minutaggio» di cui abbiamo parlato. Non solo per fare ogni tampone ci servono circa 10 minuti, se il costo del lavoro di un farmacista è di 48 centesimi al minuto resta difficile calcolare il temo che si perde al telefono per appuntamenti e comunicazioni.
Albertini continua:
«Difficile calcolare il lavoro di segreteria. In farmacia squilla continuamente il telefono in questo periodo. Qualcuno deve sempre essere disponibile a rispondere. Poi occorre registrare le persone, scrivere i dati della tessera sanitaria, inviare il risultato al ministero. Va via altro tempo. Anche se quantificassimo quest’attività in 2 euro a tampone, per ogni test resterebbero circa 2 euro alla farmacia».
Alla luce di questi interessanti ridimensionamenti quindi: quello dei tamponi è davvero un business così grande o possiamo considerare normale, lecita e onesta l’attività di questa fetta di mercato?
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