Il motore di ricerca vuole sfidare Google promettendo protezione della privacy, trasparenza e navigazione piacevole. Ecco come funziona Qwant e perché usarlo.
Ci sono dei motori di ricerca che non hanno bisogno di raccogliere e vendere i dati privati degli utenti, e che al contempo garantiscono una piacevole esperienza di navigazione. È il caso di Qwant, il browser francese recentemente integrato in una edizione personalizzata di Mozilla Firefox. Qwant non usa i cookie e protegge l’anonimato di 21 milioni di utenti in 30 paesi che già lo utilizzano mensilmente. Ha anche lanciato la sua app mobile per consentire alle persone di utilizzare ovunque un motore di ricerca da cui non sentirsi monitorati e violati.
Cos’è Qwant
Qwant è stato fondato nel 2013 da Eric Leandri, imprenditore tech con un passato nel settore della sicurezza informatica, e da Jean Manuel Rozan, investitore ed ex commerciante. In poco più di un anno il motore di ricerca ha attirato una crescente folla di aficionados grazie alle sue differenze con Google, prima fra tutte l’enfasi sulla privacy degli utenti. Il nome del sito è un omaggio alla quantistica, in cui i fondatori sono specializzati.
Com’è Qwant: homepage e categorie
Qwant presenta contenuti tratti da reti sociali come Twitter, offrendo i risultati di ricerca migliori e aggiornati. Rozan spiega: “digita Obama su Google e la maggior parte dei risultati sarà lo stesso di ieri, invece i nostri cambiano in continuazione”.
Il browser francese si distingue anche per le sue categorie di ricerca, che vanno oltre le tradizionali notizie, immagini e schede video, per includere i risultati di Twitter e un box con album e canzoni da iTunes. C’è anche la pagina dell’artista per ogni brano, notizie recenti e pubblicazioni relativi ai social media.
L’homepage di Qwant è estremamente personalizzabile: gli utenti possono effettuare facilmente ricerche su internet in base a una specifica lingua o posizione geografica, ma anche organizzare i risultati in diverse sezioni.
Nella modalità predefinita i risultati di Qwant vengono visualizzati in 5 colonne verticali distinte, similmente a quello che avviene sul nuovo Google News, ma qui in una colonna ci sono i risultati tradizionali, in un’altra le notizie relative alla chiave di ricerca, il Qnowledge Graph con le voci di Wikipedia, e la colonna dedicata ai commenti e alle notizie dei social. Infine c’è la colonna dello Shopping, dove vengono elencati i siti che vendono i prodotti relativi alla ricerca.
Di recente ha anche aggiunto una sezione Notebooks su cui gli utenti con un profilo registrato possono caricare foto, video e testi per commentare e discutere online.
Niente cookie e pubblicità fastidiosa
“La direzione che internet sta prendendo rende inevitabile il bisogno di privacy da parte della gente”, spiega Rozan.
Qwant non utilizza i cookie per seguire gli utenti e non raccoglie dati personali né effettua profilazione. Due persone che cercano “Viaggio in Messico” da Parigi o da Los Angeles avranno lo stesso risultato su Qwant.
Il motore di ricerca si perfezionerà col passare del tempo, ma per il momento il motivo più convincente per utilizzarlo è che non tiene traccia dei comportamenti degli utenti. Nessuna pubblicità fastidiosa e intrusiva legata alle ricerche recenti, nessun suggerimento personalizzato.
I fondatori si sono rivolti alle comunità di hacker e specialisti SEO per diffondere il verbo. “Amano i nostri valori, hanno a cuore la questione della privacy e comprendono che la nostra tecnologia rispetta questa promessa”.
Ancora Qwant è in una fase iniziale, e la strada per la rivalità con il colosso californiano è lunga: conta da 6 a 10 milioni di ricerche al giorno, contro i 3.5 miliardi di Google. Piuttosto si può confrontare Qwant con DuckDuckGo, il motore di ricerca che evita i risultati di ricerca personalizzati, o con l’olandese ixquick, che consente la navigazione privata.
“Ci troviamo a un punto di svolta in cui, come cittadini, utenti di Internet e consumatori, dobbiamo scegliere in che misura abbiamo diritto alla privacy e come possiamo essere liberi di esercitarlo”, ha detto Leandri. “Internet non è solo un mezzo di comunicazione, ma oggi è sempre di più una specie di cervello surrogato: tutto ciò che facciamo è sempre più memorizzato e può essere recuperato su richiesta”.
Lo scopo di Qwant è di non condurre l’utente verso un servizio specifico anziché a uno migliore solo perché ha interessi commerciali nel farlo, né di filtrare i risultati in base a un ordine del giorno politico o commerciale. “La nostra promessa per gli utenti e alla comunità web è di essere giusti con tutti”, dicono i fondatori.
Per trasparenza Qwant ha rilasciato il suo codice sorgente affinché terze parti, come l’Organismo nazionale di protezione dei dati francese, possano certificare le politiche di non tracking e vedere che il sito non raccoglie i dati.
Nessun algoritmo personalizzato
Qwant ha creato un sistema di intelligenza artificiale chiamato Iceberg che seleziona e dà priorità ai contenuti migliori. Iceberg tiene conto di una serie di criteri come la qualità tecnica ed editoriale del testo, delle immagini, dei collegamenti alla pagina, i commenti e le menzioni sui social network.
Per guadagnare Qwant utilizza il tradizionale sistema pay-per-clic, “proprio come Google fino al 2009, prima che iniziasse il monitoraggio intensivo”, spiega Leandri. “Qwant ha un accordo con la piattaforma affiliata Zanox che mette in contatto diversi siti web commerciali. Ogni volta che un utente da clic su un link o un sito di vendita guadagniamo tra i 44 e gli 88 centesimi”. Qwant ha anche accordi con TripAdvisor, eBay e LeGuide.
La sfida a Google e Apple
Nell’immediato futuro il motore di ricerca si concentrerà sul mobile, che oggi rappresenta solo il 12% del suo traffico contro il 95% della quota di mercato di Google in America. Non aiuta l’assenza di Qwant tra i motori di ricerca predefiniti su Safari e Chrome, ma la società francese sta lavorando per ampliare i suoi orizzonti.
Nel frattempo sta combattendo con Google sul fronte legale per pratiche commerciali scorrette e abuso di posizione dominante.
“Se hai due motori di ricerca che decidono cosa deve essere mostrato a miliardi di persone, non è tanto un problema di neutralità - ha detto Leandri - è un problema di democrazia”.
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