La polemica con l’Ue sui tamponi cela una disperata strategia di autolesionismo che il settore turistico sta già denunciando: mostrare il profilo da «too big to fail» per evitare la fine dei sostegni
Manca poco, poi sapremo quale destino attende il nostro Paese. Perché per quanto faccia comodo negarlo, l’Italia dipende dalla Bce. E praticamente solo dalla Bce. Parlano i numeri. Il debito pubblico del nostro a fine ottobre 2021 corrispondeva a 2.710,3 miliardi di euro, 3,8 miliardi in più rispetto al mese precedente. Mentre nell’arco temporale di un anno, oggi l’incremento è di oltre 122 miliardi. Ovviamente, colpa del Covid e degli scostamenti emergenziali resisi necessari per contrastare ormai quasi due anni di pandemia.
C’è un fatto, però. E lo mostra questo grafico,
già pubblicato tre giorni fa ma quanto mai attuale: senza Bankitalia che opera su mandato dell’Eurotower, è game over. I costi di finanziamento e servizio di quel debito già monstre sono destinati ad andare fuori controllo, lo spread che oggi viene artificialmente mantenuto in area 130 punti base dagli acquisti del Pepp pare destinato a impennarsi. Che fare, quindi? Auto-sabotarsi. Perché a un ferito non si chiedono gli stessi sforzi di un sano. Perché è meglio presentarsi con una lunga lista di fragilità alle trattative sotterranee sul Patto di stabilità, un po’ per impietosire, un po’ per ricordare come comunque il nostro Paese sia l’elefante nella stanza dell’Ue. Quindi, se entra in crisi strutturale il too big to fail, gli altri certamente non balleranno per la gioia.
Come spiegare, altrimenti, le mosse sempre più draconiane e restrittive del governo, uniche in Europa? E non solo a livello di green pass e proroga dello stato di emergenza, bensì dell’unicum rappresentato dalla clamorosa ammissione di disperazione insita nella scelta di imporre il tampone ai turisti continentali che giungono nel nostro Paese, nonostante siano vaccinati con doppia dose. Di fatto, la sconfessione implicita del valore preventivo del green pass. Se devo sottopormi a tampone, nonostante la certificazione, significa che questa è ritenuta poco credibile. O, peggio, il vaccino che ho fatto in Germania o Francia o Spagna ritenuto poco efficace.
Mossa disperata, appunto. E che, non a caso, ha fatto infuriare l’Unione Europea, la quale ha prima sottolineato come di certe decisioni drastiche si debbano preavvisare gli Stati membri e la Commissione, salvo poi far notare come non sia il caso di eccedere con le limitazioni. Prodromo quest’ultimo di un possibile intervento della Corte Europea, in caso qualcuno decidesse di ritenere i propri diritti di cittadino italiano lesi da misure di costrizione a fronte dell’assenza di obbligo vaccinale. E stiamo certi di una cosa: dopo il 31 marzo, anche alla luce di questo scontro, arriverà la condanna degli organismi europei per l’operato del governo in questi mesi. Quindi, probabili multe, deferimenti e conseguente annullamento di gran parte degli atti amministrativi comminati per le violazioni.
Non c’è altra spiegazione se non l’adozione di un autolesionismo economico obbligato, la necessità - dopo mesi di spavalderia in punta di letture record del Pil - di ricordare a tutti come sia ancora presto per ritirare stimoli e aiuti. D’altronde, Omicron è fra noi. E non ancora al massimo della potenza. Quindi, se c’è ancora la pandemia, deve esserci anche il piano Bce che la contrasta. Anche oltre il 31 marzo. Casualmente, data di proroga dello stato di emergenza. Nessun complottismo, basta leggere sui media i pareri sempre più preoccupati e interdetti degli addetti ai lavori del comparto turistico e ricettivo, proprio a ridosso delle settimane festive. Basta mettere in controluce le parole del ministro per il Turismo, Massimo Garavaglia.
Basta soprattutto pensare al fatto che l’unico Paese ad aver imitato la stretta italiana è stata la Grecia, la più grande beneficiaria del Pepp e i cui emissari da giorni sono in pressing a Francoforte per evitare che dal 31 marzo scada la deroga agli acquisti dei loro bond (esenti da rating investment grade), come riportato nel fine settimana dal Financial Times. La ragione? La spiegano questi due grafici:
senza Pepp, il nostro spread volerà alle stelle. La Grecia invece imiterà a tempo zero Marty McFly di Ritorno al futuro: si ritroverà dalla sera alla mattina nel 2010-2011. E con le banche in coma a causa di un’abbuffata di titoli di Stato che - senza più la garanzia implicita e il back-stopping di Francoforte - torneranno a valere nulla rispetto ai prezzi attuali.
Basta dare un’occhiata al grafico di Deutsche Bank che compara andamento del debito pubblico ellenico e spread dei suoi bond sovrani rispetto al Bund: il corrispettivo finanziario di un macchinario ospedaliero salvavita. Se si stacca la spina, addio. Ecco allora che, alla luce di numeri in aumento ma certamente non ai livelli tedeschi o del Regno Unito, si chiude tutto. Annullati i veglioni e le feste in piazza, chiuse virtualmente le frontiere senza tampone, green pass rafforzato prolungato fino al 31 marzo e ampia discrezionalità agli enti locali per imporre nuovi divieti mirati, come il ritorno all’obbligo di mascherina anche all’aperto. Unici in Europa.
Ma anche unici, a differenza ad esempio della Spagna, ad aver millantato uno stato di salute economica da record, forti di un mero rimbalzo e della pozione magica del PNRR. Ora, i nodi stanno venendo al pettine. Il Re del 6% è praticamente nudo, questione di pochi indumenti ancora. E allora, si corre come al solito ai ripari, in maniera confusa. E poco ortodossa. Persino aprendo fronti polemici con l’Europa sui tamponi negli aeroporti. Solo noi e la Grecia. Che brutta accoppiata, che brutti ricordi. In compenso, nei Palazzi le uniche priorità paiono quelle di preservare il consenso dell’opinione pubblica, raschiando il barile dei conti per evitare salassi sulle bollette di gennaio e di ottenere il massimo ritorno di parte dal voto per il Quirinale. Un po’ come lucidare le maniglie e i corrimani sul Titanic.
© RIPRODUZIONE RISERVATA