Il veto di Ungheria e Polonia rischia di far saltare il Recovery Fund. Quali conseguenze per l’Italia?
La notizia sul veto posto da Ungheria e Polonia non è di poco conto e rischia di minacciare l’attivazione concreta del Recovery Fund. Ma andiamo per gradi.
Varsavia e Budapest hanno bloccato l’approvazione del bilancio UE per una clausola che lega i finanziamenti al rispetto dello stato di diritto del blocco economico, una decisione che allunga ulteriormente le già macchinose tempistiche necessarie ai paesi, Italia in primis, per ricevere i fondi.
Il Recovery Fund, lo ricordiamo, prevede l’erogazione di 750 miliardi di euro dedicati al recupero dell’economia dagli effetti della pandemia da Covid. I rappresentanti dei 27 Stati membri riuniti a Bruxelles lunedì non sono riusciti ad approvare il bilancio perché i due paesi hanno posto il veto.
Recovery Fund a rischio? L’impatto del veto di Polonia e Ungheria
Da tempo Ungheria e Polonia sono criticate per violare gli standard sanciti nel trattato istitutivo dell’UE.
Ad oggi l’UE sta svolgendo delle indagini approfondite su entrambi i paesi per aver potenzialmente influito sull’indipendenza dei tribunali, dei media e delle organizzazioni non governative. Tale decisione rischia di costare loro diversi miliardi di euro in finanziamenti provenienti dall’UE.
Gli stati dell’UE avevano già concordato il bilancio da 1.100 miliardi di euro per il 2021-2027 e il pacchetto di stimolo in risposta al coronavirus dopo il vertice-maratona durato quattro giorni lo scorso luglio.
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I rappresentati avevano votato per imporre una clausola che subordina l’accesso ai fondi dell’UE all’adesione allo Stato di diritto. Ma il bilancio e il Recovery Fund hanno bisogno di un sostegno unanime per poter essere approvati - e ora arriva il blocco di Polonia e Ungheria.
Come spiega la Commissione UE, «lo Stato di diritto è uno dei valori fondamentali dell’Unione, una conditio sine qua non per la tutela di tutti gli altri valori fondamentali dell’Unione, a cominciare dai diritti fondamentali e dalla democrazia». Questo prevede «efficace applicazione del diritto UE, corretto funzionamento del mercato interno, mantenimento di un contesto propizio agli investimenti, fiducia reciproca».
Il futuro del Recovery Fund appeso a un filo
Le tensioni tra Polonia, Ungheria e UE sono arrivate al culmine dopo quattro mesi di scontri.
A luglio, i leader UE hanno accettato per la prima volta dallo scoppio della pandemia di riunirsi e raccogliere quasi 2 trilioni di euro da spendere nei prossimi sette anni, mentre cercano di riprendersi dalla crisi finanziaria causata da Covid.
All’epoca, l’accordo è stato definito un «momento magico» dal presidente del Consiglio dell’UE Charles Michel, che lo ha definito «senza precedenti», perché l’accesso ai fondi sarebbe stato subordinato al rispetto dello stato di diritto da parte dei paesi.
Ma l’Ungheria e la Polonia avevano un’opinione diversa: entrambi i paesi sono ormai da tempo ai ferri corti con l’UE dato percepito regresso dei valori fondamentali.
Così lunedì si sono rifiutati di sostenere il Recovery Fund. Prima dell’incontro il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha inviato una nota alla cancelliera tedesca Angela Merkel e al presidente francese Emmanuel Macron, esplicitando la sua intenzione, sostenendo che la clausola sullo stato di diritto «mette a repentaglio la fiducia» tra gli Stati membri.
L’approvazione finale richiede l’unanimità, e ora l’intero processo legato al Recovery Fund è in bilico, mentre gli altri Stati membri, tra cui l’Italia, hanno un disperato bisogno di accedere ai finanziamenti a partire da gennaio.
L’impasse sarà discusso martedì dai ministri degli Affari europei dell’UE e giovedì dai leader dell’UE in una videoconferenza. Intanto, i funzionari europei riferiscono che potrebbe essere necessario più tempo del previsto per trovare una soluzione.
Le conseguenze per l’Italia
Dei 750 miliardi di cui si compone il Recovery Fund, sono 209 miliardi quelli destinati all’Italia, suddivisi in 127,4 miliardi di prestiti e 81,4 miliardi in sussidi.
Per potervi accedere, l’Italia come gli altri paesi UE sono chiamati a presentare quello che è stato definito un Piano di ripresa e di resilienza (Pnrr) entro la fine di aprile 2021, anche se il Governo italiano al momento sta cercando di accelerare i tempi per poter ricevere gli aiuti già all’inizio del prossimo anno. Tali piani saranno allo studio di Bruxelles per un tempo massimo di otto settimane e, una volta presentati al Consiglio Ecofin, l’approvazione arriverebbe entro quattro settimane.
Tali tempistiche, tuttavia, mal di conciliano con le necessità italiane: con la seconda ondata verso il picco massimo, l’Italia non può scongiurare un ulteriore aumento del rapporto debito/PIL, accompagnato da un deterioramento del tessuto produttivo e di quello sociale.
Ed ora il veto di Ungheria e Polonia minaccia di dilatare ulteriormente i tempi, rendendo i tanto necessari aiuti europei contenuti nel Recovery Fund solo un lontano miraggio, spianando la strada - piuttosto - al ricorso al MES.
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