I contribuenti potranno «salvarsi» dall’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie mediante l’affrancamento. Di che si tratta e quali sono i rischi?
L’ufficializzazione del decreto IRPEF per i famosi 80 euro in busta paga rende ufficiale anche l’aumento della tassazione delle rendite finanziarie tra circa 4 mesi dal 20% al 26%. Aumenterà la tassazione su:
- conti correnti e conti postali;
- azioni;
- obbligazioni;
- conti deposito;
- fondi di investimento.
Saranno invece esclusi:
- titoli di Stato (Bot e Btp), che potranno mantenere l’aliquota del 12,5%;
- fondi pensione (11%).
Tutti i dettagli sulle Disposizioni in materia di redditi di natura finanziaria sono disponibili all’art. 3 del Dl n. 66/2014.
E’ vero che ora l’Italia in tema di tassazione finanziaria è in linea con gli altri Paesi UE, ma quante tasse pagano in più i cittadini italiani rispetto a quelli europei? E quanto cambieranno nella quotidianità questi 80 euro in più (o forse anche meno) se i cittadini verranno tassati altrove, perdendo comunque i benefici del decreto IRPEF?
Le polemiche seguite all’aumento della tassazione delle rendite finanziarie hanno provocato una reazione da parte del Governo, che in una nota spiega che l’aumento è stato dettato da due ragioni:
- ridurre l’IRAP del 10%;
- allineare la tassazione italiana con quella europea.
«Non c’è nessuna tassa sui conti correnti e non c’è nessun collegamento con il bonus di 80 euro».
Il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, su Twitter ha aggiunto che le conseguenze per i cittadini saranno piuttosto irrilevanti, dal momento che questa operazione costerà «meno di un caffè al mese».
Cosa succederà dal 1 luglio?
La sintesi in questo grafico (Sole24Ore).
La retroattività
L’aumento della tassazione delle rendite sarà retroattivo? Potrebbe. I cittadini possono fare qualcosa per salvarsi dall’aumento? Forse si, con lo l’affrancamento. Cioè?
Entro il 30 settembre potranno valutare l’affrancamento dei redditi maturati al 30 giugno, ovvero la possibilità di una sorta di cessione figurativa senza però smobilizzare i titoli in portafoglio. Con quale risultato? Avere le plusvalenze assoggettate all’aliquota vigente del 20%.
In questo modo le plusvalenze verranno assoggettate al 20%, mentre per il periodo successivo al valore di mercato al 30 giugno 2014.
Se entro il termine del 30 settembre i contribuenti non dovessero scegliere l’affrancamento, pagheranno una tassa retroattiva relativa ai guadagni passati, visto che l’aliquota al 26% colpirà anche i guadagni maturati gli anni scorsi.
Un’escamotage o una trappola? Secondo molti la risposta potrebbe essere la seconda. Quale sarebbe il rischio in agguato? Libero, Il Giornale ed altri quotidiani lo spiegano in questi termini:
«arriviamo alla trappola nascosta. Potrebbe succedere, infatti, che le plusvalenze al primo di luglio diventino delle minusvalenze nei mesi a seguire. E che quindi per eccesso di zelo anche il più oculato dei risparmiatori si trovi a pagare il 20% per cento di tasse su un guadagno che al momento dell’effettivo smobilizzo dell’investimento non c’è stato. Morale della favola: se entro il 30 settembre il risparmiatore decidesse di non avvalersi del cosiddetto affrancamento si troverà a pagare nei mesi a venire una tassa retroattiva sui guadagni passati (perché il 26% vale anche per i guadagni maturati negli scorsi anni) senza che sia previsto nessun meccanismo correttivo per neutralizzare l’effetto inflazione che in alcuni casi potrebbe anche azzerare i guadagni. Se invece esercita l’opzione che gli garantisce il legislatore rischia di perdere i suoi soldi se il titolo in futuro dovesse subire un brusco calo»(Libero ).
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