La riforma del catasto è sempre una riforma divisiva, ma in questo caso non è previsto alcun aumento dei costi per i prossimi 5 anni. In prospettiva chi pagherà di più nel 2026?
La riforma del catasto è una di quelle riforme che ogni tot anni viene proposta dal Governo di turno, ma che è sempre fortemente criticata per le possibili implicazioni sul costo della prima abitazione.
Alcuni giorni fa la Lega, il partito di Matteo Salvini, non si è presentato al Consiglio dei Ministri che ha dato il via libera al Ddl delega per il fisco per protesta contro il Ddl e anche contro la riforma del catasto.
Questa però non ha lo scopo, almeno al momento e al livello di scrittura alla quale si trova, di aumentare le tasse sugli immobili, che nel caso saranno applicabili tra 5 anni, nel 2026.
Riforma del catasto: chi pagherà di più
Il pomo della discordia Tra Governo e Lega, ovvero l’aggiornamento del catasto, non aveva poi chissà quali basi solide. Di fatto non si può negare che in Italia abbiamo un problema con il sistema del catasto e che, prima o poi, dovremo affrontare un aggiornamento delle banche dati.
Attualmente nessuno dovrà pagare nulla in più, anche se la propria abitazione dovesse risultare accatastata male. Questo problema si ripresenterà tra 5 anni, nel 2026. Lo ha confermato lo stesso Mario Draghi: “La mappatura degli immobili non ci serve per aumentare le tasse, ma per capire lo stato del patrimonio immobiliare”. Insomma, una richiesta legittima per uno Stato.
Intanto si può iniziare a fare qualche conto e capire come la mappatura degli immobili, nel bene e nel male, cambierà il valore e il costo delle abitazioni.
Secondo le stime, che tengono conto dei valori del catasto e di quelli di mercato, i luoghi a rischio aumento di prezzi saranno le città di:
- Milano +174 per cento
- Roma +56 per cento
- Napoli +108 per cento
- Torino +46 per cento
Non è detto comunque che la nuova mappatura porterà solo ad aumenti, anzi si potrebbero presentare situazioni nelle quali l’abitazione verrà accatastata adeguatamente, con una diminuzione dei costi. È il caso per esempio di case ristrutturate o acquistate dopo dei lavori.
Riforma del catasto per combattere l’abusivismo
Il controllo sugli immobili è un passo necessario ogni tot anni, questo perché nel nostro Paese soffriamo di un altro tasso di abusivismo (ma anche di errata catalogazione delle abitazioni di lusso).
Gli immobili sconosciuti al catasto sono, secondo i dati Istat, circa 1,2 milioni, con tutte le conseguenze e il peso fiscale che questo dato porta con sé.
Vi è inoltre una grande disparità tra abusivismo al Nord, al Centro e al Sud; una disparità allarmante secondo il rapporto Sdgs (Sustainable Developments Goals). La media italiana, su 100 nuove case, è pari al 17,7 percento. Un dato in calo sì, ma ancora relativamente alto. I dati sono così suddivisi:
- a Nord il 6,1 per cento ogni 100 nuove costruzioni;
- al Centro il 17,8 per cento ogni 100 nuove costruzioni;
- al Sud il 45,6 per cento ogni 100 nuove costruzioni.
Riforma del Catasto: il corretto classamento
Oltre al controllo degli immobili abusivi, vi è anche il problema della classificazione di questi. Infatti uno dei motivi per il quale è necessaria una mappatura corretta e aggiornata è quello del controllo della destinazione d’uso degli immobili.
Senza parlare della categoria delle case, anzi delle ville, che con la mappatura potrebbero vedersi aumentato il valore fiscale insieme alla classe di appartenenza. Lo spiega bene il Corriere della Sera: le case nelle categorie A2 e A7 non pagano l’Imu sulla prima casa; quelle in A1 (case signorili) e A8 (ville) sì. Nel caso di un avanzamento di categoria per A2 e A8 ci sarebbe da pagare una tassa sostanziosa: l’Imu.
Dopotutto non ci sono solo le case abusive, ma anche le errate classificazioni, che mostrano una mappa delle ville e case di lusso un po’ al ribasso rispetto alla realtà. Infatti secondo le attuali stime ci sarebbero solo 70 mila ville, lo 0,2 per cento delle case totali.
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