Riforma della prescrizione: cosa cambia dopo l’intervento di Bonafede

Isabella Policarpio

27/01/2021

Spieghiamo cosa prevede e cosa cambia con la riforma della prescrizione voluta dal Ministro Bonafede e cavallo di battaglia di M5S: stop termini, lodo Conte e differenza tra sentenza di assoluzione e condanna.

La prescrizione dei reati è uno dei temi su cui la politica italiana (e non solo) è sempre stata divisa. E la riforma della prescrizione di Alfonso Bonafede, Ministro della Giustizia, non fa eccezione.

Una chiave di sintesi è stata trovata con l’inserimento del cosiddetto “lodo Conte bis” che prevede lo stop della prescrizione dopo la sentenza di primo grado di condanna, con la possibilità di ottenere un ricalcolo retroattivo dei termini se in secondo grado la sentenza viene ribaltata in un’assoluzione.

Nonostante l’Ue l’abbia promossa, ritenendola idonea a ridurre i tempi della giustizia italiana, la riforma dei termini prescrizionali è ancora terreno di scontro, specie dopo la crisi di governo innescata da Matteo Renzi.

Spieghiamo in cosa consiste la riforma e come cambia il calcolo della prescrizione.

Riforma della prescrizione in vigore

La tanto contestata riforma della prescrizione è entrata in vigore il 1° gennaio 2020, e da allora le polemiche non si sono mai arrestate.

L’intervento di Bonafede prevede lo stop della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, indistintamente di condanna o di assoluzione, con effetti che dividono il mondo della politica e anche quello degli studiosi e degli esperti di diritto. Impossibile contare gli scioperi degli avvocati penalisti e le proteste dei magistrati, per i quali la riforma prevede sanzioni disciplinari per chi non rispetta la «ragionevole durata del processo».

Per un mese e mezzo, la maggioranza ha faticato a trovare una soluzione di compromesso a causa del secco «no» di Italia Viva, ma alla fine vi è stata una svolta: passa il lodo Conte bis successivamente inserito in un emendamento nella riforma del processo penale.

Cos’è il lodo Conte bis

Il lodo Conte bis (Leu) prevede il blocco della prescrizione solo per i condannati in primo grado per i quali torna a decorrere se assolti in appello retroattivamente. Mentre il blocco dei termini resta per chi viene condannato anche dalla Corte d’Appello.

Cosa cambia

Il testo della riforma prevede che i termini di prescrizione smettano di decorrere dopo la sentenza di primo grado, sia di assoluzione che di condanna.

La riforma va a modificare l’articolo 159, comma 2, del Codice penale, nella parte in cui recita: “Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna.”

Cambia il momento della decorrenza della prescrizione, ma non il quantum. Per i reati consumati il termine prescrizionale continua a decorrere “dal giorno della consumazione” mentre per i reati tentati “dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole".

Invece cambiano le regole per il reato “continuato”(più azioni ed omissioni compiute dalla stessa persona in esecuzione di un disegno criminoso) in questo caso la prescrizione inizierà a decorrere dal giorno in cui è cessata la continuazione, mentre prima decorreva dal giorno in cui si esauriva la singola condotta illecita.

Riforma della prescrizione: gli effetti sugli uffici giudiziari

Degli effetti della riforma possiamo parlare solo in termini probabilistici dato che, secondo le stime, si vedranno solo tra tre o quattro anni. Ma le prospettive non sono affatto positive.

Il blocco della prescrizione avrà conseguenze diverse in base alla percentuale di archiviazione per prescrizione delle varie Corti distribuite sul territorio nazionale. Facciamo degli esempi. A Catania questa percentuale è del 37,8% contro il 36% di Roma e 10% di Milano.

Per molti giuristi, in primis per Eugenio Albamonte, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, lo stop della prescrizione non basterà ad assicurare il legittimo andamento della giustizia e a salvare quanto stabilito in primo grado. Occorrerebbe anche rafforzare i riti alternativi, depenalizzare molti reati ed aumentare le risorse.

Si è stimato che la riforma metterà seriamente a rischio l’efficienza di molti uffici giudiziari, i quali si troveranno ad avere circa 30 mila procedimenti in più ogni anno, e l’esito ovviamente sarà ancor più pesante sulle Corti oberate da un maggior numero di prescrizioni, con l’alta possibilità che anche i tempi dei processi ne risulterebbero allungati.

La riforma della prescrizione è incostituzionale?

Italia Viva e moltissimi tra magistrati e avvocati italiani ritengono che la riforma di Bonafede non solo sarebbe inutile ma che, addirittura, abbia dei profili di incostituzionalità, dal momento che:

  • non riduce i tempi troppo lunghi delle indagine dei pm (causa principale dell’eccessiva durata dei tempi della giustizia);
  • rende eterni i processi successivi a quello di primo grado.

Dello stesso avviso il presidente della Corte di Cassazione Giovanni Mammone il quale, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, ha tenuto un discorso in cui ha espresso tutta la sua preoccupazione nei confronti della riforma.

In altre parole, quella che per alcuni è una garanzia di punibilità, per altri è un tentativo maldestro con notevoli conseguenze sul piano pratico che rischia di creare dei processi eterni.

Secondo la vecchia disciplina la prescrizione dei reati inizia a decorrere dal giorno in cui il fatto è stato commesso e non si blocca quando il giudice o il pm emettono i provvedimenti per assicurare il reo alla giustizia, cosa che invece accade ai termini di prescrizione in ambito civile. L’intervento di Bonafede, invece, introduce lo stop della decorrenza anche nel penale.

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