L’importanza di creare delle condizioni favorevoli, tramite una filiera tutta italiana, per mettere le aziende nella situazione migliore per produrre dispositivi sanitari e di sicurezza.
Spesso si sente dire che ogni grande crisi porta con sé anche grandi opportunità per tutti coloro che sono in grado di coglierle. Anche in questo drammatico caso di pandemia da COVID-19 potrebbero nascere delle opportunità per le tante piccole e medie imprese, che sicuramente dovranno far fronte a una crisi senza precedenti dal dopoguerra ad oggi.
Sicuramente per le imprese della filiera del tessile e della moda, pensare - come hanno già fatto molti - a riconvertire la produzione nella realizzazione di mascherine, il cui utilizzo potrebbe accompagnare la nostra vita quotidiana per lungo tempo, potrebbe essere una via comoda e fruttuosa per superare questo momento di grande emergenza.
La carenza di dispositivi di sicurezza e di apparecchiature sanitarie per le terapie intensive, infatti, sono state per lungo tempo (e in molti casi lo sono ancora) un vero tallone di Achille nello sforzo di arginare gli effetti della terribile pandemia nel nostro Paese e non solo. È indubbio che ciò, infatti, abbia riguardato un po’ tutta Europa.
Emblematico il caso della Spagna, che ha ordinato dalla Cina 1 milione di tamponi poi risultati totalmente inefficaci, o ancora il caso dell’Olanda che ha dovuto respingere un ordine di 600.000 mascherine perché sprovviste delle certificazioni. Ma in alcuni casi - come quello della Germania con la Dräger, della stessa Olanda con la Philips o della Svizzera con la Hamilton Medical, prima azienda al mondo nel settore - la situazione è sicuramente meno drammatica grazie alla presenza di una grande industria in grado di produrre “in proprio” simili dispositivi per far fronte alla emergenza con meno patemi.
E non è un caso se proprio la Germania è uno dei paesi che ha pagato il minor dazio in termini di morti a questa terribile pandemia. Per il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas, intervistato di recente dal Corriere della Sera, la pandemia rappresenta non solo un’opportunità per ragionare sul se e come «costruire un tetto comune» per coordinare a livello europeo la risposta sanitaria, ma anche una via «per riportare da Paesi terzi all’interno dell’UE la produzione di beni strategici, come dispositivi medici di protezione».
Tutte le grandi aziende hanno aumentato del 50/60% la produzione ma la richiesta è talmente alta che le consegne non possono tenere il passo della domanda. La soluzione quindi sarebbe demandare alle piccole aziende nostrane che producono simili dispositivi, ma il problema per queste piccole realtà è data dal fatto che non tutta la filiera produttiva si trova in Italia.
Siare Engineering, che è l’unica azienda italiana produttrice di ventilatori polmonari con base a Crespellano, nel bolognese, ha interrotto tutte le consegne all’estero per destinare le macchine solo al mercato italiano.
Un impegno considerevole per un’azienda con 35 dipendenti, che sono stati affiancati da 25 tecnici specializzati dell’Esercito. Ma sicuramente la loro produzione non può soddisfare che una piccolissima parte delle richieste, anche perché alcune componenti sono costruite all’estero.
Per questo motivo concentrare la filiera produttiva di dispositivi medici e di sicurezza in Italia può in casi di emergenza come questa rendere il paese in un certo senso autosufficiente, così da far fronte alle esigenze senza dover dipendere dalla generosità di altri paesi.
Non è semplice spostare interi comparti produttivi da zone in cui il costo della mano d’opera è enormemente più basso e dove i vincoli burocratici sono meno stringenti. Ma tutte le crisi, a maggior ragione questa, possono essere fonti di grandi opportunità, se solo si è in grado di coglierle.
La possibilità di avere in una situazione economica disastrosa come quella a cui andremo incontro a causa dell’emergenza da COVID-19, la possibilità di creare nuove filiere produttive che possano lavorare a pieno regime su dispositivi medici adeguati, sfruttando a loro vantaggio le agevolazioni che il governo potrebbe ulteriormente mettere in campo (il decreto legge “Cura Italia” stanzia già 50 milioni da erogare alle aziende, sotto forma di finanziamenti agevolati o a fondo perduto, che produrranno mascherine), potrebbero essere, in un certo senso, come prendere due piccioni con una fava.
Ma il problema è quello di creare condizioni favorevoli per mettere le aziende nella situazione migliore per produrre. Gli ostacoli della burocrazia, come ben visto con le mascherine, rischiano ancora una volta di mettersi di traverso verso questa transizione. Ecco perché anche in questo caso la necessita di sburocratizzare questo paese è una esigenza assolutamente impellente per evitare che il virus crei una vera e propria desertificazione produttiva nel nostro paese.
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