Stampa e governo belga denunciano (3.000 erano di Air Brussels), l’Ue tace. In compenso, i prezzi dei futures sulle emissioni tornano sui massimi record a causa del caro-gas. E le fabbriche chiudono
Mentre in Italia Regione Sardegna e governo cercano una soluzione per i 1322 dipendenti di Air Italy licenziati, di fatto aprendo la strada a ulteriori ammortizzatori sociali che andranno inseriti nel computo di nuovo deficit già necessario per i ristori del turismo, dal Belgio arriva la pietra tombale della favoletta green dell’Europa.
Stando a quanto denunciato da Le Soir e RTBF, infatti, questo inverno Lufthansa avrebbe operato circa 18.000 voli totalmente vuoti o quasi vuoti, di cui 3.000 sotto le insegne di Air Brussels, unicamente in ottemperanza alle deliranti regole europee per il mantenimento degli slots nei principali hub aeroportuali del Continente. Per non perdere diritti di decollo e atterraggio, infatti, l’Ue richiede alle linee aeree di operare almeno l’80% dei voli programmati. Un numero altissimo in periodo di pandemia, tanto che quella percentuale è stata abbassata al 50% ma gli attuali numeri del trasporto aereo appaiono ben lontani anche da quell’obiettivo.
Che fare, quindi? In ossequio all’agenda di emissioni zero e alle estenuanti trattative di COP26, il vettore tedesco e la sua controllata belga hanno svolazzato con i velivoli a coefficiente di riempimento quasi a zero per tutto l’inverno, bruciando carburando e quindi inquinando inutilmente. E se il ministro dei Trasporti belga, Georges Gilkinet, ha immediatamente chiesto alla Commissione Ue che si metta mano a una regolamentazione incomprensibile da un punto di vista sia economico che di impatto ambientale, di fatto abbassando ulteriormente la percentuale minimi di voli da operare per non veder messi in discussione gli slots, dalla Germania è arrivato un chiaro segnale di coda di paglia.
La stessa Lufthansa, infatti, ha confermato la cancellazione di circa 33.000 collegamenti aerei da qui alla fine di marzo, citando ovviamente come ragione la scarsità di domanda dovuta alla variante Omicron e alla nuove restrizioni. D’altronde, i diritti per gli slots sono stati già garantiti dai 18.000 non necessari di questo inverno: et voilà. Qualcosa non funziona. Soprattutto alla luce di questi due grafici,
i quali mettono in prospettiva il disastro industriale cui la stessa Europa sta andando incontro per il combinato di scarsità delle risorse energetiche e limiti ambientali imposti con furore ideologico e poco raziocinio pragmatico. Se infatti il prezzo de futures per le emissioni di CO2 sta tornando sui livelli di record assoluto, proprio a causa dell’aumento di utilizzo di carbone a fronte del caro-gas, la seconda immagine dovrebbe risvegliare un minimo di buon senso anche nei fan più sfegatati di Greta Thunberg che albergano a Bruxelles.
L’utilizzo di gas da parte dell’industria europea ha infatti subito un drastico taglio nel quarto trimestre del 2021, un -5% che rappresenta il calo maggiore dal secondo trimestre del 2020, quello devastante della prima ondata di Covid. A confermarlo i dati diffusi dall’azienda di consulting energetico Engie EnergyScan, il cui numero uno, Julien Hoarau, non ha usato mezzi termini con Bloomberg nel lanciare l’allarme: Le comunicazioni di operatività interrotta o non ripresa dopo la pausa natalizia da parte delle fabbriche europee stanno ricominciando a fioccare e questo ci porta a dire che il primo trimestre di quest’anno potrebbe coincidere con una nuova ondata di distruzione della domanda industriale.
E se l’ultima settimana del 2021 ha visto addirittura esacerbarsi quella dinamica, segnando un -7% di utilizzo di gas nel Nord Europa, i blocchi della produzione cominciano a estendersi a macchia di leopardo. Alcoa ha bloccato la produzione di alluminio nella sua fabbrica spagnolo per due anni, la norvegese Norsk Hydro sta tagliando la produzione in Slovacchia mentre Nyrstar, unità del gigante svizzero Trafigura sta mettendo in stand-by una fonderia di zinco in Francia e il principale produttore di ammoniaca tedesco, SKW Piesteritz Holding GmbH, ha chiuso uno dei suoi principali siti produttivi già in dicembre. Praticamente, di fronte a noi sta formandosi la vera tempesta perfetta. Ancora voglia di assecondare Greta Thunberg e i suoi bla bla bla?
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