Continua l’incessante evoluzione e diffusione del sistema di lavoro agile in Italia. Ecco cosa dobbiamo aspettarci nel 2022.
La fine del 2021 e l’inizio del 2022 stanno regalando al panorama dello smart working una struttura ed un’istituzionalizzazione che sarebbero state impensabili fino a pochi anni fa.
Dalle imprese private alla PA, infatti, l’Italia si sta avviando verso il disegno di un nuovo paradigma del lavoro in chiave flessibile, dando una definizione e una forma minima comune ai vari esperimenti di smart working che hanno connotato il primo periodo emergenziale della pandemia.
Quanto è diffuso lo Smart Working in Italia?
Lo Smart working ha coinvolto più di 7 milioni di lavoratori nel corso del 2021, secondo l’indagine INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche) diffusa il 26 gennaio 2022.
Un grande traguardo se si pensa che si tratta di un approccio al lavoro ancora sperimentale e visionario nell’era pre-pandemia e che ormai, invece, si sta avvicinando ad un’applicazione più stabile e diffusa.
Già nel 2021, inoltre, una ricerca dell’Osservatorio Smart Working, metteva in evidenza come il fenomeno fosse comune a tutte le tipologie di organizzazione, dalle grandi imprese (per l’81%), alle PMI (per il 53%) sino alle PA (per il 67%), con l’ingombrante questione dei sistemi adeguati di policy a incombere per queste ultime due realtà (quali, ad esempio, la mancanza di adeguati regolamenti sul lavoro per obiettivi o sulla collaborazione digitale).
Cosa cambia nel 2022 per i lavoratori pubblici e privati?
Rispetto alla disciplina frammentata e diversificata che aveva caratterizzato l’implementazione di progetti di smart working prima e durante la pandemia, negli ultimi mesi abbiamo iniziato a vedere una tendenza a uniformare gli stessi esperimenti, al fine di prevedere quantomeno delle linee guida comuni a cui gli stessi potessero attenersi.
È questo il caso del Protocollo nazionale dello Smart Working nel settore privato: un documento firmato il 7 dicembre 2021 che disciplina proprio le linee guida a cui tutta la contrattazione collettiva del settore privato dovrà tendere, indicando quindi i principi cardine dello smart working e le previsioni che non potranno mancare nei relativi accordi, come vedremo in seguito.
Dal canto suo però, anche la PA - che, nel 2021, ha avuto un andamento altalenante in termini di smart working - ha visto emanato il 9 dicembre 2021 il decreto sulle “Linee-guida sul Piano Organizzativo del Lavoro Agile (POLA) e Indicatori di performance” dove si prevede per ogni PA l’obbligo di emanare entro il 31 gennaio di ogni anno il documento sul POLA, al fine di accompagnare l’evoluzione di questo innovativo approccio al lavoro anche nel settore pubblico, come scopriremo tra poco.
Lo Smart Working in azienda: i nuovi diritti dei lavoratori agili
Il Protocollo nazionale dello Smart Working nel settore privato è stato previsto, come affermato nel testo stesso, per “procedere a un più ampio rinnovamento di prospettiva, ridefinendo il lavoro in un quadro di fiducia, autonomia e responsabilità condivise”. Nella stessa premessa del testo, infatti, si legge che questo è volto a rispondere alla “necessità di realizzare azioni condivise per fornire risposte concrete ai grandi cambiamenti che l’innovazione tecnologica produce nei modelli organizzativi aziendali e, di conseguenza, nei modi di pensare il lavoro”.
Il Protocollo, quindi, va a definire il quadro di riferimento per lo svolgimento del lavoro in modalità agile, prevedendo in particolare:
- adesione volontaria: i lavoratori aderiscono su base volontaria alla modalità di lavoro agile e possono sempre recedere; il rifiuto, quindi, non può rilevare ai fini disciplinari o di licenziamento.
- contenuto minimo dell’accordo di smart working: si parla di una disciplina volta a definire principalmente la durata, l’alternanza dello svolgimento del lavoro in ufficio con quello da remoto, le caratteristiche dei luoghi presso cui si può svolgere l’attività da remoto (e gli eventuali spazi esclusi), gli strumenti di lavoro, i tempi di riposo e di disconnessione (per la quale dovranno essere previste specifiche misure volte a garantirla), le eventuali forme di controllo della prestazione lavorativa e la formazione (laddove necessaria per lo svolgimento del lavoro in smart working).
- esclusione del lavoro straordinario: nel protocollo, infatti, si precisa che lo svolgimento dell’attività lavorativa in regime di smart working non può, per definizione, dare luogo al pagamento delle ore straordinarie.
- libertà di determinazione del luogo da cui svolgere l’attività: purché abbia adeguate caratteristiche di sicurezza e riservatezza e corrisponda ad eventuali requisiti minimi previsti negli accordi di smart working (oltre, ovviamente, a non rientrare in eventuali spazi espressamente non consentiti dagli stessi).
- sicurezza: il protocollo infatti ribadisce l’importanza della sicurezza sul lavoro anche in caso di smart working e specifica che la copertura INAIL del lavoratore si applica anche a tale approccio lavorativo.
- parità di trattamento: il lavoratore che aderisce al regime di smart working, si precisa, ha diritto allo stesso trattamento economico e normativo previsto per i lavoratori della stessa azienda al di fuori di questo regime, a parità di mansioni.
- lavoratori in condizioni di fragilità e disabilità: le parti sociali ribadiscono in questa sede l’importanza e l’impegno nel facilitare l’accesso allo smart working a queste categorie di lavoratori.
Lo Smart working nella PA: cosa dicono le linee guida sul POLA
Anche la PA ha previsto un piano per avvicinarsi alla modalità di lavoro agile, tramite la previsione del POLA (Piano Organizzativo del Lavoro Agile), un documento che tutte le amministrazioni pubbliche dovranno adottare entro il 31 gennaio di ogni anno, per individuare le modalità attuative dello smart working per tutte quelle attività identificate come compatibili con il lavoro agile.
Il documento, infatti, costituirà una specifica sezione del Piano della performance, dedicato a quei processi di innovazione amministrativa necessari per la programmazione e gestione del lavoro agile.
Il documento sulle linee guida del 9 dicembre 2021, inoltre, disciplina anche il contenuto minimo del POLA (che ogni anno le pubbliche amministrazioni dovranno emettere in quanto strumento di programmazione ed attuazione dello smart working) e in particolare:
- il livello di attuazione e di sviluppo del lavoro agile: la fotografia, in poche parole, dello status quo da cui si parte;
- le modalità attuative del lavoro agile: come le pubbliche amministrazioni decidono di attuare il lavoro agile concretamente. A tal fine, si ricorda che potranno avvalersi del regime di lavoro agile almeno il 60% dei dipendenti impegnati in attività compatibili con lo smart working; gli stessi, inoltre, in linea con quanto previsto anche per il settore privato, non potranno subire penalizzazioni in termini di carriera o di riconoscimento di professionalità per lo svolgimento del lavoro in regime di smart working;
- i soggetti, processi e strumenti del lavoro agile: l’individuazione, quindi, delle figure che saranno predisposte per sviluppare il lavoro agile (funzionali all’organizzazione e al monitoraggio dello stesso), oltre che delle attività che queste metteranno effettivamente in piedi, comprensive di modalità e tempi di attuazione;
- il programma di sviluppo del lavoro agile: si tratta, in questo caso, del vero e proprio piano di implementazione del lavoro agile, che deve essere suddiviso nelle tre fasi di avvio, sviluppo intermedio e sviluppo avanzato, distribuite in un intervallo massimo di tre anni. All’interno dello stesso programma di sviluppo, ogni amministrazione inserirà, poi, tra le altre cose, anche le condizioni abilitanti del lavoro agile (misure organizzative, requisiti tecnologici, percorsi formativi, livelli di salute dell’ente ecc.), gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti e gli impatti interni ed esterni del lavoro agile.
Ma cosa succede se il POLA non viene adottato da una pubblica amministrazione? Le linee guida precisano che, in tal caso, il lavoro agile si applicherà almeno al 30% dei dipendenti, laddove lo richiedano.
Qual è il futuro del lavoro dopo l’emergenza sanitaria?
Il 2022, quindi, sarà un anno di assestamento per i pilastri che andranno a sostenere l’evoluzione dello smart working nei prossimi anni. Stiamo vedendo, infatti, come questo fenomeno sta assumendo sempre più una forma chiara e definita, seppur non definitiva.
L’evoluzione dei nuovi modi di lavorare, infatti, di cui già oggi si parla moltissimo, fa pensare che la pandemia e la diffusione massiccia dello smart working abbiano solamente aperto le porte a nuovi e ulteriori modi di intendere l’approccio al lavoro, sicuramente sempre più in ottica people-oriented.
La persona, infatti, con le sue esigenze e i suoi bisogni, inizia sempre più a essere messa al centro, portando le organizzazioni a spostarsi verso modalità di lavoro, appunto, sempre più agili e flessibili, in grado, quindi, di conciliare le esigenze delle imprese (o delle amministrazioni) con quelle delle persone.
Sin da oggi, infatti, possiamo vedere le prime avvisaglie di un’evoluzione che è già in atto. Dalle aziende che hanno rivisto la disciplina di ferie e permessi in ottica di flessibilità (adottando, ad esempio, il modello americano delle ferie illimitate) a quelle che decidono di integrare elementi extra-lavorativi all’interno della configurazione dell’ufficio (quali sale yoga o di meditazione) o, ancora, a quelle che rivedono in chiave flessibile anche l’intero modello organizzativo: si tratta, quindi, di un fenomeno che è già in corso e che, ormai, si sta pian piano facendo strada nel panorama italiano - di cui, quindi, le aziende non possono che tener conto sin da ora, implementando progetti strutturati di ripensamento dei modi di lavorare, con il supporto anche di esperti esterni per i progetti più complessi e visionari.
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