Il segreto per far scendere il rapporto debito/PIL: occupazione e lavoro

Luca Pezzotta

26 Febbraio 2016 - 13:19

Secondo quello che ci è stato raccontato gli alti livelli di stock del debito e di rapporto debito/PIL sarebbero un impedimento per l’occupazione. Ma anche questa è una posizione che non regge di fronte ai fatti ed ai numeri. Cerchiamo di vedere perché.

Il segreto per far scendere il rapporto debito/PIL: occupazione e lavoro

Una delle ipotesi presentate come verità assoluta nella propaganda dei media mainstream, ed avallata pure da autorevoli studi di eminenti economisti, con un background di esperienza anche in organizzazioni internazionali importanti e di prestigio come il FMI, è stata quella a termine della quale gli alti livelli di rapporto debito/PIL - con una soglia massima del 90%- fossero un limite, un fardello ed un peso per l’economia.
Peccato che uno studente abbia trovato un errore nello studio di tali eminenti economisti, di nome Ken Rogoff e Carmen Reinhart. Alcuni dati essenziali erano stati trascurati.

Questo esempio serve per sottolineare come il risultato di questo modo di guardare al rapporto debito/PIL, allo stesso tempo negativo ed errato, non abbia prodotto buoni risultati e come questo sia stato foriero di un’altra teoria alquanto strana, propagandata pure questa come verità assoluta, a termine della quale sarebbero l’alto stock di debito pubblico e l’alto rapporto debito/PIL a far aumentare anche la disoccupazione.

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Naturalmente - nemmeno a dirlo – la soluzione sarebbe stata semplice ed usuale: “diminuire il debito per far diminuire anche la disoccupazione”. Cioè, come al solito, anche in questo caso, la panacea sarebbe stata una serie di tagli, tale da permettere la riduzione del debito e quindi anche del rapporto debito/PIL.

L’alto rapporto debito/PIL fa aumentare la disoccupazione? Non è vero

Ovviamente, le cose non stanno esattamente in questi termini per tutta una serie di ragioni delle quali valuteremo solo alcune.

In primis, cominciamo sottolineando che il rapporto debito/PIL è, appunto, un rapporto; e proprio per questo una sua variazione può dipendere sia da variazioni del numeratore che del denominatore con l’altro fattore costante, oppure da una variazione di entrambi in differenti misure.
Pertanto, una diminuzione del rapporto debito/PIL può anche essere determinata da:

  • uno stock di debito (numeratore) che diminuisce a PIL (denominatore) costante,
  • con denominatore che diminuisce più lentamente del numeratore,
  • da un denominatore (PIL) che cresce a numeratore (stock di debito) costante,
  • da un PIL che cresce più velocemente dello stock di debito.

Mentre un aumento rapporto debito/PIL può avvenire:

  • a causa di uno stock di debito (numeratore) che cresce con PIL (denominatore) costante,
  • con denominatore (PIL) che cresce meno velocemente del numeratore (stock del debito),
  • nel caso di diminuzione dello stock del debito, ma con un PIL che diminuisce più velocemente.

Pertanto, risulta abbastanza chiaro che le dinamiche del rapporto debito/PIL non dipendono solo ed esclusivamente dallo stock di debito ma, appunto, anche dal PIL (fattore denominatore).

In secondo luogo, quando si parla di “tagliare la spesa per diminuire lo stock del debito ed il rapporto debito/PIL” bisognerebbe tenere in considerazione il moltiplicatore fiscale. Ed anche in questo caso studi e previsioni, soprattutto in Grecia, si sono rivelati erronei e fallaci, in quanto la perdita di PIL dovuta ai tagli è stata di molto maggiore a quella stimata.

Di poi, per l’Italia, dato il rapporto debito/PIL superiore al 100%, un taglio della spesa, anche con un moltiplicatore fiscale “neutro” che preveda la perdita di un euro di PIL per ogni euro di spesa tagliata (1:1) porterebbe ad un aumento del rapporto debito/PIL e non ad una sua diminuzione.

Pertanto, non è dai tagli e dall’austerità che bisogna partire se ci si pone l’obiettivo di capire che cosa potrebbe aiutare a far diminuire il rapporto debito/PIL e lo stock di debito.
E per questo “obiettivo” partiamo dal grafico sotto che riporta l’andamento del tasso di disoccupazione (linea azzurra continua, scala di sinistra) e del rapporto debito/PIL (linea nera punteggiata, scala di destra) in Italia da inizio anni ’90.

La prima cosa, abbastanza facile da notare, è che sembra quasi che la disoccupazione ed il rapporto debito/PIL siano pro-ciclici, cioè all’aumentare o diminuire dell’una aumenta o diminuisce anche l’altro e viceversa.
Una volta detto questo, però, si ritorna alla solita diatriba sul fatto se siano la diminuzione o l’aumento del rapporto debito/PIL che fanno diminuire o aumentare la disoccupazione, oppure se sia il contrario, cioè sia un aumento o una diminuzione della disoccupazione a far aumentare o diminuire il rapporto debito/PIL.

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Da una parte, se guardiamo il grafico per il periodo agli anni ’90, notiamo che dalla seconda metà del decennio il rapporto debito/PIL comincia a diminuire prima della disoccupazione. Questo potrebbe far propendere per ritenere che sia la diminuzione del rapporto debito/PIL che fa diminuire la disoccupazione, avallando la posizione semplicistica del “debito che fa salire la disoccupazione” e, conseguentemente, del taglio dello stock del debito che la fa diminuire.

D’altra parte, invece, se guardiamo altri periodi (per es. intorno al 2011) notiamo che l’aumento della disoccupazione precede l’aumento del rapporto/PIL, facendo ritenere il contrario, cioè che sia la disoccupazione a far salire il rapporto debito/PIL.

Così siamo punto a capo senza aver risolto molto.
Ma a questo punto consideriamo anche lo stock del debito.

Lo stesso non è mai diminuito da inizio anni ’90, anzi, è sempre andato in crescendo. Pertanto non possiamo affermare se sia stata una diminuzione dello stock di debito a far diminuire la disoccupazione, e per un semplice motivo: non c’è mai stata una diminuzione dello stock del debito.

Lo stock del debito è sempre aumentato, indipendentemente dal segno della variazione della disoccupazione; ed anzi in alcuni periodi la disoccupazione diminuiva mentre lo stock del debito aumentava. Da qui, traiamo pertanto il risultato che l’affermazione secondo la quale “è il debito che fa salire la disoccupazione”, sembra fin troppo semplicistica e fallace.

Inoltre, considerato quanto appena detto e quanto riportato sopra con riguardo alle variazioni del rapporto debito/PIL ed alle sue motivazioni, possiamo sostenere che essendo sempre aumentato lo stock del debito (numeratore), un aumento del rapporto debito/PIL si può essere verificato sia con un PIL (denominatore) in diminuzione (in maniera più marcata in questo caso) sia con un denominatore costante, e anche con un denominatore che cresceva meno del numeratore.

Mentre una diminuzione del rapporto debito/PIL, dato ancora il fatto che
il numeratore è sempre aumentato, può essere dovuta solo ed esclusivamente ad un aumento del denominatore (PIL) di misura maggiore del numeratore (stock del debito).

Pertanto, le diminuzioni del rapporto debito/PIL dagli anni ’90 non sono mai dovute ad una diminuzione dello stock di debito – mai avvenuta – bensì, sono solo ed esclusivamente dovute ad un aumento del PIL di misura maggiore rispetto a quella dello stock del debito. Quindi è la crescita del PIL che è sempre risultata la chiave di volta per far diminuire il rapporto debito/PIL, e non la diminuzione dello stock di debito.

Inoltre, poiché non può essere la diminuzione dello stock di debito - che non c’è mai stata - ad aver fatto scendere la disoccupazione, non si vede nemmeno perché un suo aumento dovrebbe farla crescere, dato che ci sono periodi nei quali la disoccupazione scendeva e lo stock di debito saliva, ma il rapporto debito/PIL diminuiva a causa del maggior aumento del PIL rispetto al debito.
Anzi, a questo punto, sarebbe più semplice pensare semmai il contrario, cioè che sia un aumento della disoccupazione a far salire lo stock del debito ed il rapporto debito/PIL, portando un aumento dei sussidi, minori contributi e una diminuzione del denominatore (PIL).

Infatti, per quest’ultimo caso, una maggiore disoccupazione – salvo il caso di un improbabile aumento della produttività, che può esserci ma anche no - vuol dire anche un maggiore output gap, cioè una maggiore differenza tra la produzione potenziale e quella effettiva e, quindi, per forza di cose un PIL minore.
Mentre, al contrario, una maggiore occupazione significherebbe un minore output gap, cioè una minore differenza tra produzione potenziale e quella effettiva, quindi un PIL maggiore.
Ed un PIL maggiore vuol dire, ceteris paribus, un minor rapporto debito/PIL. Inoltre anche l’aumento nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, dovuto alla disoccupazione, avrà i suoi costi in termini di stock del debito.

Concludendo, è principalmente la variazione del PIL che incide sulle dinamiche del rapporto debito/PIL: più lavoro significa più occupazione, più occupazione significa minore output gap, minore output gap significa un PIL maggiore ed un PIL maggiore significa – salvo il singolo caso dello stock di debito che aumenta in modo più marcato - un rapporto debito/PIL minore.

Maggiori sono gli occupati, minori saranno i sussidi e maggiori i contributi, con un ovvio ritorno in termini positivi sul bilancio.

Sono il lavoro, l’occupazione e la crescita le chiavi di volta per avere una diminuzione del rapporto debito/PIL e, a tempo debito e se necessario, dello stock del debito, non i tagli e l’austerità che stanno disgregando il tessuto sociale e produttivo del paese e dei suoi abitanti.

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