Col trionfo all’Eurovision, Kiev è diventata il nuovo Leicester: tutti tifano per lei. E fra tournée musicale e ingresso in Ue, non c’è più differenza. Come il PNRR che muta in Cassa del Mezzogiorno
Il metaverso comincia ad assumere un senso. E alla luce di questo, forse sarebbe il caso di porsi qualche domanda sul cordialissimo e molto discreto incontro avvenuto la scorsa settimana fra Mario Draghi, il ministro della Transizione digitale, Vittorio Colao e Mark Zuckerberg a Palazzo Chigi. Ma questa è un’altra storia. Almeno per adesso. Almeno fino al voto.
In compenso, questo grafico
ci mostra come Statista ritenne ormai non più classificabile nella categoria della casualità il nesso fra aumento dell’indice FAO dei prezzi alimentari e fenomeni globali di tensioni sociali, quando quell’indicatore lo scorso marzo toccò quota 138.1. Oggi siamo a 158.46, ultima rilevazione di venerdì scorso. E guarda caso, i prodromi di una nuova stagione di primavere arabe per fame cominciano a saltare fuori come i proverbiali green shots, i germogli. D’altronde, è stagione. E non in due Paesi a caso, bensì in due veri e propri epicentri. Produttivo-commerciale l’uno, geopolitico all’ennesima potenza l’altro. Cominciamo dallo Sri Lanka, dove nel silenzio generale sono già state date alle fiamme le case di 38 politici (mentre 75 sono state assaltate e gravemente danneggiate) e la situazione sta degenerando a tal punto da aver portato il governo a conferire alla polizia il potere di sparare a vista. Ma come per certi funerali a Gaza, nessuno pare indignarsi troppo.
In compenso, vige la par condicio. Ovvero, tutto ciò che esula dall’Ucraina non interessa. In maniera assolutamente paritaria ed equanime. Come ad esempio le violente proteste di piazza scoppiate a Dezful e Mahshahr nella provincia sud-occidentale di Khezestan, in Iran, La folla gridava slogan contro il presidente Ebrahim Raisi, accusato di aver tradito le promesse elettorale di creazione di posti di lavoro e contrasto all’aumento dei prezzi alimentari. Pochi giorni prima, mentre nella più pacifica Vienna si discuteva ancora dei progressi relativi all’accordo sul nucleare iraniano, Israele invia caccia a colpire proprio bersagli iraniani. Un avvertimento. In casualissima contemporanea con le proteste.
Ma il mondo non lo sa. Il mondo conosce solo l’Ucraina. E la vittoria di un band totalmente sconosciuta ma proveniente da quel Paese all’Eurovision Song Contest sembra sancire un nuovo dogma: Kiev è divenuta l’equivalente politico del Leicester campione d’Inghilterra. Tutti tifano per lei. Ovunque. E a prescindere. Persino dal merito. E se un concorso musicale certamente offre spunti di riflessione ma non elementi di preoccupazione diretta, nell’ombra si muove dell’altro. Esattamente come il Leicester di Raineri, le cui gesta sportive già l’anno successivo alla vittoria della Premier tornarono materia per feticisti, è probabile che fra due mesi nessuno si ricorderà più della Kalush Orchestra. In compenso, il presidente Zelensky si è immediatamente travestito da impresario musicale e CeO della pro loco di Mariupol: Faremo di tutto per ospitare lì l’edizione del prossimo anno del festival canoro europeo. A quanto pare, nulla di più grave e importante turba i suoi giorni.
Oppure no? Inutile prenderci in giro. Per quanto si voglia dipingere il presidente ucraino come il Gandhi ex sovietico, Zelensky è soprattutto uno straordinario uomo marketing. E sa che la musica, esattamente come il calcio, rappresenta uno strumento di influenza social enorme. E social equivale a politico, quantomeno nel mondo del metaverso che vede Mario Draghi ignorare i sindacati e Confindustria ma ricevere Mark Zuckerberg con tutti gli onori. La finalità è chiara: Ucraina is the new black. Anzi, deve diventarlo. Perché una volta tramutato il Paese in icona, nessuno avrà il coraggio di opporsi al fatto che il fast track di adesione all’Ue già garantito a Kiev dalla guerra si tramuti in un vero e proprio tappeto rosso.
Non esiste più alcuna differenza fra l’organizzazione dell’Eurovision 2023 a Mariupol, una insperata tournée mondiale della sconosciuta Kalush Orchestra e l’ingresso di un Paese corrotto, ampiamente da ricostruire e straindebitato nell’Unione Europea. Non a caso, il World Economic Forum di Davos che si apre il 23 maggio avrà come tema principale l’Ucraina. Il presidente Zelensky aprirà i lavori in collegamento, mentre nei Grigioni sarà presente il sindaco di Kiev, Vitaly Klitschko. Assente ogni delegazione russa, il metaverso non contempla un avatar di Mosca.
Anche perché, il metaverso rappresenta la conferma plastica del detto francese in base al quale tout se tient, tutto si tiene. Guardate questa tabella,
la quale ci mostra i Paesi maggiormente dipendenti dall’export di grano ucraino. Quello bloccato dalla guerra e che la Germania ora vorrebbe trasportare in Europa per via ferroviaria, tale è il timore di un effetto detonante sull’inflazione già alle stelle. Tutti Paesi con un tasso di instabilità e infiammabilità sociale altissimo. Al pari dell’Iran e dello Sri Lanka, già portatisi avanti con il lavoro in tal senso. Non importa capire chi abbia minato i porti, di fatto rendendo oggi praticamente impossibile far ripartire le esportazioni marittime, persino se si arrivasse a una tregua. Importa soltanto tramutare Kiev nell’ombelico esiziale del mondo. E’ il marketing del caos, il regno degli influencer della destabilizzazione: quasi la conferma di quanto scritto nel suo Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari dal compianto professor Giovanni Arrighi. Era il 2006. Prima di Lehman. Prima del Covid.
Il metaverso al suo meglio. Perché alla base di tutto, certamente c’è la mossa militare della Russia. E occorrerà tempo, molto tempo prima di capire cosa sia realmente avvenuto nei mesi immediatamente precedenti a quel 24 febbraio 2022 per rendere possibile, forse necessaria quella mossa. Sicuramente, sappiamo che è morto Facebook. E’ nato Meta. Sicuramente, sappiamo che nel pieno del processo di brandizzazione dell’Ucraina e della Nuova Guerra Fredda, Elon Musk ha lanciato l’opa su Twitter. E cominciato lo stesso giochino che ha operato per mesi su Bitcoin, nel frattempo precipitato. Non tanto e non solo nelle valutazioni, bensì nella percezione pubblica di assets rifugio reale contro la manipolazione delle valute fiat da parte delle Banche centrali. E di strategia di hedging alternativo contro l’inflazione. Ovviamente, tutte casualità. Solo coincidenze. Altrimenti si è complottisti. O putiniani.
Coincidenze, appunto. Un po’ come quella che, nel pieno del processo di sgretolamento del governo Draghi, vede il PNRR tramutarsi per magia nella nuova Cassa del Mezzogiorno in una strana ed estemporanea versione meridionale del Forum Ambrosetti. La Cernobbio del Sud appena conclusa a Sorrento, di fatto, ha riportato in auge uno dei grandi classici della politica italiana da pentapartito: investimenti a pioggia nel Mezzogiorno per colmare il gap con il Nord. Praticamente, un blazer blu o un tubino nero. Impossibile sbagliare. Viene da chiedersi, preso atto della mossa, cosa penserà l’Europa, di fatto controllore ed erogatore dei flussi alla fonte del Recovery e delle sue derivazioni. O forse non occorre porsi la domanda: perché agli annunci non seguiranno mai i progetti.
Ma ecco che l’emergenza Ucraina offre la sponda, il metaverso: il Mediterraneo sarà il centro nevralgico del processo di affrancamento europeo dalla dipendenza energetica russa, tutto passerà da qui. Vero? Ovviamente, no. O comunque, non in tempi brevi. L’ex ad di Snam, intervistato da La Repubblica, è stato chiaro: per i nuovi rigassificatori ci vorranno almeno tre anni e l’addio alla Russia presuppone stoccaggi comuni. Ma non importa la realtà. conta solo la sua percezione. Il metaverso. Quindi, chi si opporrà, almeno a parole e per il tempo necessario a portare il Paese alle urne del 2023? Sarebbe come opporsi all’ingresso di Kiev nell’Ue, un oltraggio. Il marketing del caos è la nuova frontiere, gestire i fenomeni di destabilizzazione come fossero un paio di sneakers. O un frappuccino. Work, invest and trade accordingly.
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