La nuova frontiera dei vaccini anti-Covid vede l’ingresso nel 2022 delle classiche soluzioni proteiche. Formule, benefici e tempistiche nel dettaglio.
Con il passare del tempo si amplia il bacino di soluzioni immunizzanti disponibili sul mercato grazie all’avanzamento delle ricerca ma non solo, si torna anche ai metodi tradizionali.
Attesi per il 2022 i vaccini proteici, una categoria ben nota alla comunità scientifica. Grazie alla divulgazione portata avanti dagli esperti del settore abbiamo modo di capire meglio come mai queste alternative ai comuni prodotti di Moderna, Astrazeneca Johnson & Johnsonh e Pfizer abbiano richiesto tanto tempo, risorse umane e finanziamenti economici mirati.
Vediamo anche cosa è andato storto finora e come invece questi vaccini potrebbero migliorare la situazione globale nel breve periodo.
Vaccini proteici: come sono fatti?
Ci si riferisce a questi vaccini in arrivo con il termine “vecchia maniera” perché le tecniche impiegate nella produzione sono collaudate da decenni e utilizzate in molti casi per proteggerci dall’epatite B, dalla pertosse e dalla comune influenza.
La differenza che intercorre tra queste formulazioni e i quattro vaccini approvati dell’EMA è stata chiarita da Francesca Cerati sul Sole24. L’esperta descrive infatti i vaccini di Moderna, Pfizer-Biontech, J&J e Astrazeneca come capaci di introdurre un frammento di codice genetico che le cellule devono leggere per poi sintetizzare le proteine stesse. Caso diverso sarebbe quello dei proteici dove invece si induce direttamente la risposta anticorpale da parte dell’individuo poiché si tratta di «vaccini a base di proteine purificate, potenziate con adiuvanti».
Per loro stessa composizione, e visti i protocolli medici già noti impiegati nella produzione, quindi è possibile che questi prodotti non debbano passare ad uno stringente vaglio delle agenzie del farmaco. I tempi di approvazione, non trattandosi di tecnologie innovative, potrebbero dimezzarsi. È plausibile anche che saranno queste le dosi di richiamo che verranno somministrate con le future terze inoculazioni.
I dati degli studi clinici in fase avanzata sembrano infatti promettenti, dimostrando una forte protezione e meno effetti collaterali. Non dobbiamo pensare però che per questo motivo tutte le sperimentazioni in corso verranno approvate con il risultato di un sovrannumero di prodotti sul mercato: i vaccini proteici non sono tutti uguali. Come è successo per quelli a Rna, dei vari candidati si sono dimostrati efficaci solo alcuni campioni. In fase III si opererà la scrematura necessaria.
I casi più promettenti sono due: Novavax e Sanofi/Gsk che impiegano cellule di un tipo di falena (Spodoptera frugiperda) e Clover e Medigen che si affidano alle cellule ovariche di criceto.
I motivi della lunga attesa
Il motivo che si cela dietro le lunghe tempistiche dei vaccini proteici rispetto a quelli già in commercio non è puramente produttivo. La loro creazione in generale prevede molti passaggi, ognuno dei quali deve essere ottimizzato per produrre una proteina specifica, ma c’è dell’altro.
Ai ritardi «produttivi» si aggiungono gli “errori” nelle strategie aziendali. Il supporto di grandi case farmaceutiche ha permesso nel caso di Biontech di appoggiarsi al colosso di Pfizer e avviare velocemente dei trial affidabili e una distribuzione su ampia scala. Analogamente Moderna ha avuto il vantaggio di far valere la propria partnership con il National Institutes of Health statunitense e avanzare veloce.
Gli altri competitor, soprattutto a causa delle già citate linee produttive poco rapide, hanno perso l’iniziale corsa ai vaccini. La quantità inoltre è sempre un ostacolo per piccole realtà che non sono supportate dalla cosidette Big Pharma.
Soltanto adesso, grazie alla discesa in campo di due giganti farmaceutici come Sanofi e GlaxoSmithKline (Gsk) si sta pensando concretamente a finanziare un vaccino proteico come il Vidprevtyn.
Prima di questo momento le due storiche aziende produttrici di vaccini si erano affidate a dei reagenti difettosi con un effetto negativo a cascata sul sistema dei dosaggi. Allo svantaggio produttivi si è aggiunta una complicanza tecnica: i primi partecipanti allo studio hanno ricevuto dosi che erano circa un quinto della dose pianificata e per questo di gran lunga mano efficace.
I ritardo oggi ammonta a circa cinque mesi anche se ora si è arrivati alla tanto attesa fase III. Gli attuali partecipanti provengono da Africa, Asia e America Latina e l’approvazione dei prodotti è attesa per la fine del 2021 vista la robusta risposta immunitaria osservata dai test di maggio fino ad oggi.
Ulteriori vantaggi di questa alternativa
Gli esigui possibili effetti collaterali dei vaccini proteici potrebbero cambiare le carte in tavola sul fronte no-vax incoraggiando molti timorosi ad avvicinarsi alla vaccinazione grazie all’alto tasso di gestazione e alle tecniche ampiamente collaudate impiegate nella loro creazione.
Il timore di molti sono infatti fenomeni come i miocarditi e la trombocitopenia che potrebbero insorgere con i vaccini basati sull’Rna messaggero (mRna) e sulle tecnologie del vettore virale, ma questo scenario non si presenta affatto per i «vaccini alla vecchia maniera».
Oltre alle certezze sanitarie che questi prodotti sembrano offrire al momento c’è anche una nota positiva che andrebbe ad impattare sulla geopolitica dei vaccini ovvero la possibilità di ampliare la platea di acquirenti anche agli stati in via di sviluppo.
I vaccini a base di proteine infatti hanno costi di produzione inferiori e il vantaggio logistico di essere stabili tra i 2° e gli 8° Celsius.
In questo modo si riuscirebbe con rapidità a colmare un vuoto nella risposta globale alla pandemia visto che attualmente meno del 6% delle persone nei paesi a basso reddito è stato vaccinato contro il Covid-19.
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