Sassari, Sirmione, Trento e Cesena, le nostre Mariupol senza gloria. E mentre gli Usa ipotizzano già una guerra che duri tutto il 2022, il governo girovaga e millanta soluzioni. Con i Pos bloccati
Ormai l’unica metafora a calzare perfettamente è quella del dito e della Luna. Quotidianamente, la crisi ucraina ci mette di fronte a un eclatante episodio di strabismo politico. Ed economico. Ultimo della serie, l’attenzione fra il divertito e lo stupefatto per la gaffe di Joe Biden, intento a stringere la mano a un amico immaginario, sintomatica dello stato dell’arte in cui versa un mondo sull’orlo dell’escalation atomica.
Ma contemporaneamente a quella scena sconfortante, la vera notizia arrivava dal vero numero uno statunitense, il segretario di Stato, Antony Blinken. La vera quinta colonna della Warfare Corp. che spinge da settimane affinché il conflitto degeneri in contrapposizione globale di lungo termine: La guerra può durare per tutto il 2022, le sue parole. Praticamente, l’annuncio non tanto e non solo di un quasi automatico allargamento del fronte bellico, bensì la certificazione della nascita di una nuova Guerra Fredda permanente, la costruzione di un invisibile nuovo Muro in seno all’Europa.
Tra le fughe in avanti di Finlandia e Svezia e la quasi certezza che, dopo l’affondamento del suo incrociatore, Mosca colpirà un convoglio di armamenti occidentali verso Kiev. Non escludendo più di farlo su territorio Nato nel Vecchio Continente. Di fatto, una clausola di attivazione dell’articolo 5 dell’Alleanza pende sulle nostre testa come una spada di Damocle. D’altronde, Fed e soci hanno bisogno di una nuova, seria emergenza post-Covid. Ma arrivare a ritenere accettabile lo spauracchio della guerra atomica equivale ad ammettere che il sistema finanziario sia, già oggi, a un passo dall’esplosione.
Insomma, un orizzonte da Apocalisse. Cui l’Italia risponde in maniera quantomeno imbarazzata e imbarazzante. Perché i nodi, ora, stanno davvero arrivando al pettine. Come quelli dei 73 miliardi di euro di debito da cercare sul mercato, ora che la Bce pare aver confermato la messa in pausa dei lavoro alla tipografia Lo Turco. Ma non basta. Perché il presagio di Antony Blinken sembra evidenziare il rischio maggiore per il nostro Paese: mentre la stampa attende pressoché unanime la chimera del default russo, quasi anelando il giorno in cui potrà incoronare Mario Draghi per la sua geniale intuizione da stregone della finanza, l’emergenza energetica assume contorni farseschi.
E molto simili a quella gaffe di Joe Biden: per quanto il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri millantino successi, di fatto la ricerca di fonti alternative per l’approvvigionamento di gas sta rivelandosi l’equivalente di quella stretta di mano all’uomo invisibile. Si millantano accordi ma ormai ci si muove con la credibilità internazionale di un rabdomante in modalità di questua. I miliardi di metri cubi concordati con l’Algeria scontano infatti due criticità non di poco conto: primo, i tempi per ottenerli. Secondo, la forma sotto cui arriverà quel gas in Italia, ulteriore aggravio di costi e logistica. C’è poi la pista egiziana, terminata nel mirino per la sgradevole coincidenza riguardo il ruolo del governo Al-Sisi nella vicenda Regeni.
Insomma, mentre la famiglia del ricercatore friulano e gli inquirenti del processo romano per la sua morte chiedevano al Cairo i nomi degli 007 implicati, il governo andava a trattare l’acquisto di gas. Viene da chiedersi come mai Mario Draghi non sia andato in conferenza stampa per lanciare un temerario Preferite la verità su Regeni o il condizionatore sempre acceso? Ora, al netto che il destino del giovane ricercatore potrebbe trovare più risposte a Cambridge che in Egitto, l’imbarazzo per la mossa in seno al governo ha portato alla terza tappa: il Congo. Il quale, notoriamente, oltre a essere Paese rispettosissimo di libertà e diritti umani rispetto alla Russia, garantisce massime condizioni di sicurezza e trasparenza riguardo gli accordi economici che contrae.
Insomma, la nostra industria e le famiglie possono contare su questo scenario: una guerra che potrebbe diventare permanente, quindi con coté di azzeramento dei rapporti economici e diplomatici con Mosca sine die e una capacità del sistema Italia di reperire fonti alternative pari a zero. Quantomeno, stando ai risultati ottenuti finora. E il tempo stringe, poiché la somma ipocrisia europea sul tema ha sancito che passato il ballottaggio francese, si darà finalmente vita alle sanzioni sul petrolio russo. Nemmeno a dirlo, nel momento stesso dell’emanazione del sesto pacchetto di sanzioni, anche il prezzo del gas ad Amsterdam esploderà verso nuovi record.
Il tutto senza uno straccio di accordo relativo al cap sul prezzo, ulteriore ed ennesima chimera italica in seno alla campagna di mitomania rispetto all’indipendenza da Mosca. Il gas russo, ad oggi, è insostituibile per l’Europa, ha dichiarato solo giovedì Vladimir Putin. Piaccia o meno, è vero. E i costi per l’economia si fanno già sentire, poiché la realtà è quella di esercizi commerciali che aprono i battenti più tardi e li chiudono prima per risparmiare energia. E fabbriche che tagliano produzioni e meditano alternanze nei giorni di lavoro e sospensione forzata. Nel frattempo, il giorno della Via Crucis ha voluto simbolicamente rivelarsi tale: quattro morti sul lavoro, quattro persone uscite di casa al mattino e non più rientrate. Unicamente per portare a casa uno stipendio. Uno a Sassari, uno a Sirmione, uno a Trento e uno a Cesena: come in una triste metafora del film di Tarantino, quelle città sono le nostre Mariupol senza gloria.
Destinate a un passaggio fugace sui giornali, solo per aggiornare il triste record di morti sul lavoro del primo trimestre di quest’anno. Chissà se l’abuso di SuperBonus che ha gonfiato il Pil 2021 non c’entri qualcosa con questa Spoon River di morti bianche, stante la centralità dei cantieri nella contabilità macabra dei padri di famiglia caduti per uno straordinario (magari in nero)? Ovviamente, occorrerà tempo prima di arrivare ad eventuali ammissioni in tal senso. In compenso, a 24 ore dall’annuncio dell’entrata in vigore dal 30 giugno dell’obbligo di Pos per i commercianti, ecco che uno strano guasto su quei circuiti manda in tilt i pagamenti elettronici in tutto il Paese per mezz’ora. Fortunatamente - e casualmente? - non nel pieno del weekend pasquale, bensì subito prima: a ridosso del mezzogiorno del Venerdì santo, notoriamente votato alla mezza giornata lavorativa. Insomma, tanto clamore e poche conseguenze.
Un segnale chiarissimo, però. Chi era in coda al supermercato o voleva prelevare allo sportello automatico, ha scoperto di colpo la triste realtà di un mondo senza contanti. Viene da chiedersi, cui prodest? Perché, paradossalmente, quel misterioso black-out quasi orwelliano potrebbe risultare utile a tutti i fronti in gioco, sia a chi contesta certi obblighi, sia a chi sta accatastando alibi di irriformabilità del Paese come fascine per l’inverno prima di abbandonare la nave, salvando ovviamente la faccia e la postura da nemo propheta in patria.
Ecco, brevemente e per sommi capi, delineato lo scenario in cui il Paese sta muovendosi in vista del vero fall-out di guerra e sanzioni, cui va a innestarsi l’impennata inflazionistica e la conseguente stretta della Bce. E mentre la stampa dovrebbe sottolineare la gravità delle parole di Antony Blinken, l’unica ossessione appare quella del mitologico default russo, magari persino nella sua versione in sedicesimi legata a un cedola in franchi delle Ferrovie. Attenzione a guardare troppo il dito, perché rischiamo di non vedere la Luna del nostro di fallimento. Molto più probabile.
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