Agevolazioni acquisto prima casa, ecco quando si perdono. Novità

Nadia Pascale

15 Gennaio 2025 - 08:56

La Corte di Cassazione applica il diritto in vigore ai tempi dell’atto anche se le norme non sono più attuali da oltre un decennio. Perse le agevolazioni acquisto prima casa.

Agevolazioni acquisto prima casa, ecco quando si perdono. Novità

Si possono perdere le agevolazioni acquisto prima casa anche applicando regole ormai desuete? La risposta è “sì”, trova, infatti, applicazione il principio “Tempus regit actum” e si possono perdere importanti agevolazioni fiscali.

Cosa succede se la lentezza della giustizia porta all’applicazione di regole ormai desuete? Si possono perdere le agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa applicando norme non più in vigore dal 1° gennaio 2014? “Tempus regit actum” è uno dei principi fondamentali della successione delle leggi nel tempo, è un’espressione latina che implica che la regolazione degli atti, in questo caso compravendita di un immobile, avviene applicando le regole vigenti al momento della conclusione dell’atto stesso. A nulla rileva che nel frattempo siano intervenute nuove norme maggiormente favorevoli al contribuente.

A sottolineare questo importante principio è la Corte di Cassazione
con la sentenza 33699 del 4 dicembre 2023 in cui ribadisce importanti concetti inerenti le agevolazioni fiscali previste per l’acquisto della prima casa e la successione delle leggi nel tempo.

Questa sentenza risulta importante perché di fatto applica un diritto che oggi non esiste più, applicato però perché al momento del fatto le norme vigenti erano diverse, ne deriva che, anche se sono passati molti anni, si applicano vecchie norme. Vedremo da questa sentenza come il problema della giustizia lenta in Italia abbia una rilevanza, anche economica, non da poco.

Attualmente vige il nuovo Statuto del contribuente che prevede sempre il contraddittorio preventivo con il contribuente, l’obiettivo è ridurre il ricorso a procedure giurisdizionali e quindi avere anche una giustizia più celere e funzionale. Torniamo però al caso in oggetto.

Ecco cosa dice la Corte di Cassazione sull’applicazione dello Statuto del contribuente a fatti che hanno portato alla perdita dell’agevolazione fiscale prevista per l’acquisto della prima casa e accaduti oltre un decennio fa.

Il caso: le dimensioni della casa contano per considerare l’immobile di lusso? Agevolazioni fiscali perse.

Il contribuente stipula un atto di compravendita di un immobile applicando le agevolazioni fiscali previste per l’acquisto della prima casa, in particolare l’imposta di registro prevede un’aliquota del 2% sul prezzo di vendita e non del 9% (aliquota ordinaria). Prevista, inoltre, l’imposta ipotecaria e catastale in misura fissa a 50 euro se l’acquisto avviene da privato.

Sappiamo che le agevolazioni per l’acquisto della prima casa non si applicano nel caso in cui oggetto di compravendita sia un immobile di lusso. Qui arriva la prima brutta sorpresa, infatti, dal 1° gennaio 2014 (10 anni fa) sono assoggettate alla disciplina degli immobili di lusso le unità immobiliari al catasto risultanti in categoria A1, A8 e A9.

In precedenza, invece, trovava applicazione il decreto ministeriale 2 agosto 1969. Il decreto prevedeva che fossero considerate di lusso (indipendentemente dalla categoria catastale, dalle tecnologie adottate, dai materiali usati) le unità immobiliari:

  • con superficie superiore a 240 mq;
  • di superficie superiore a 200 mq a condizione che vi fosse una pertinenza scoperta superficie di oltre sei volte l’area coperta.

Poteva trattarsi anche di un rudere, ma superando le dimensioni viste, era considerato immobile di lusso.
Nel caso in oggetto la compravendita è antecedente a tale data, viene considerato di lusso l’immobile applicando il criterio dell’estensione della superficie. Viene quindi inoltrato dall’Agenzia delle Entrate un avviso di liquidazione senza alcun contraddittorio endoprocedimentale.

Applicando il diritto vigente al momento dell’avviso di liquidazione, il contribuente avrebbe versato un’imposta di registro molto ridotta.

Legittimo l’avviso di liquidazione dell’AdE con disconoscimento delle agevolazioni fiscali prima casa

La Corte di Cassazione ribadisce che, in base al diritto vigente al momento dell’emanazione dell’atto, non vi era obbligo da parte dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale prima della notifica dell’avviso di liquidazione vero e proprio.

Il contribuente richiama i principi contenuti nella legge 212 del 2000 (Statuto del contribuente), ma ribadisce la Corte di Cassazione che, come già previsto dalla sentenza a Sezioni Unite civili n. 24823/2015 “in assenza di specifica prescrizione" non vi è un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, che comporti, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto.

Esclude, pertanto, che possa attribuirsi valenza generale alla previsione dell’articolo 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, in quanto tale disposizione va delimitata ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, senza che possa estendersi anche alle verifiche «a tavolino».

Questa disposizione deve ritenersi superata con il nuovo Statuto del contribuente, adottato con il decreto legislativo 219 del 2023. La nuova disciplina prevede il contraddittorio preventivo obbligatorio. La nuova disciplina non trova però applicazione retroattivamente.

Cosa sarebbe cambiato? Nel caso pratico che qui ci interessa, se vi fosse stato un contraddittorio preventivo, magari il contribuente avrebbe capito il perché dell’avviso di liquidazione e pagato il dovuto evitando un inutile lite giudiziaria che, avendo visto la parte soccombere, ha portato anche all’attribuzione dell’onere delle spese giudiziarie.

Oppure, avrebbe potuto presentare elementi a sostegno della sua tesi in via “bonaria”, l’amministrazione finanziaria avrebbe potuto accogliere o rigettare le tesi del contribuente, tutto nell’arco di 60 giorni. Senza arrivare, quindi, a una lunga lite tributaria durata oltre 10 anni con costi non da poco e con norme nel frattempo cambiate in modo anche radicale.

L’introduzione delle nuove norme mira in effetti proprio a evitare questi casi abnormi, snellire il carico pendente e ridurre i costi della giustizia tributaria.

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