L’ammortamento alla francese genera anatocismo vietato?

Francesca Nunziati

09/07/2022

Gli effetti del piano di ammortamento alla “francese” nei contratti di mutuo è stata una problematica oggetto di scontri giurisprudenziali ed è ancora molto sentita. Vediamo la sua storia.

L’ammortamento alla francese genera anatocismo vietato?

Per evitare confusioni è bene evidenziare, preliminarmente, che il piano di ammortamento alla francese è un tipo particolare di restituzione del capitale ricevuto in prestito.

La caratteristica distintiva di questa tipologia è data dall’ammontare sempre costante della rata, che rimane immutata nel tempo.

Più precisamente, il piano di ammortamento alla francese è il piano di rimborso del mutuo e/o del finanziamento, caratterizzato dall’avere una rata di rimborso fissa nel tempo, con la quale vengono rimborsati il capitale mutuato e gli interessi.

La specifica composizione delle due quote che compongono la rata determina una rata costante, ossia di importo sempre uguale per tutta la durata dell’ammortamento. Per questo motivo, l’ammortamento francese è anche detto “a rata costante“.

Per comprendere meglio: l’interesse viene detto semplice quando è proporzionale al capitale e al tempo. Gli interessi, maturati da un dato capitale nel periodo di tempo considerato, non vengono aggiunti al capitale che li ha prodotti (capitalizzazione) e, quindi, non maturano a loro volta interessi, ai sensi dell’art. 821 c.c.

L’interesse viene detto composto quando, invece di essere pagato o riscosso, è aggiunto al capitale iniziale che lo ha prodotto. Nel piano di ammortamento alla francese gli interessi vengono generalmente conteggiati mediante l’applicazione di un interesse composto.

Ciò significa che tale piano di ammortamento genera di per sé, un fenomeno di capitalizzazione di interessi su interessi.

Osserviamo più da vicino la dibattuta questione.

La storia giuridica dell’ammortamento alla francese

L’iter giurisprudenziale

Prima del 2020, quasi tutte le sentenze di rigetto non riconoscevano la presenza del regime composto nell’ammortamento alla francese, travisando, nell’imputazione della rata, l’applicazione dell’interesse semplice sul debito residuo.

La Giurisprudenza, per lungo tempo, ha escluso che il piano di ammortamento alla francese potesse produrre un effetto anatocistico, vietato dall’art. 1283 c.c. e dagli artt. 3 e 6 della delibera Cicr del 9 febbraio 2000, oltre che dall’art. 120 Tub nell’attuale formulazione, oppure che determini una difformità tra il tasso di interesse indicato nel contratto e quello effettivamente applicato, in violazione dell’art. 1284 c.c.

Nel maggio 2019, il tribunale di Torino aveva già approfondito il vaglio, riconoscendo la presenza del regime composto nell’ammortamento alla francese e la parallela capitalizzazione degli interessi, ma aveva ritenuto inapplicabile l’articolo 1283 Codice Civile, valutando il divieto di detto articolo circoscritto esclusivamente agli interessi scaduti e insoluti.

In una recente sentenza del tribunale di Roma (la n. 6897 del 05 maggio 2020) si sviluppa ulteriormente l’analisi dei rapporti sottostanti l’ammortamento a rata costante, fissando alcuni punti fermi: in particolare pur essendo il piano di ammortamento caratterizzato da una rata calcolata in capitalizzazione composta, le quote interessi sono calcolate in capitalizzazione semplice (in quanto ottenute come prodotto tra il tasso periodale di interesse e il debito residuo relativo all’epoca precedente) e quindi non implicano anatocismo.

Il pagamento della quota interessi estingue, a ogni pagamento, ogni debito in conto interessi, per cui non esistono interessi maturati che possano essere base di calcolo di ulteriori interessi.

Il tribunale di Benevento, con la sentenza del 26.06.2021, ha ritenuto opportuno premettere che tale forma di ammortamento preveda il rimborso della somma mutuata mediante il pagamento di una rata costante, comprensiva di una quota capitale e di una quota di interessi, da imputarsi diversamente nel corso del rapporto, in particolare:

  • in modo decrescente con riferimento agli interessi;
  • in modo crescente con riferimento al capitale.

Come ribadito dal giudice, il metodo di capitalizzazione cd. composta non deve essere confusa con l’anatocismo dal momento che, come evidenziato dalla costante giurisprudenza, tra le due fattispecie non vi è alcuna correlazione diretta.

Così espone il Giudice: «Tuttavia, questa forma di ammortamento» secondo l’orientamento interpretativo ormai consolidato nella giurisprudenza di merito (cfr., ex multiis, trib Padova 13.01.2016; trib. Torino 17.09.2014), condiviso da questo Giudice "non comporta, di per sé, alcun effetto anatocistisco, non dovendosi confondere il fatto che il metodo di calcolo sia quello dell’interesse composto (nel senso che la rata è composta da quota capitale e quota interessi), con il fatto che il calcolo sia composto (nel senso che gli interessi si calcolano sugli interessi)”.

Una importante pronuncia del tribunale di Torino ha sancito che la previsione di un piano di rimborso del mutuo graduale con rata fissa costante non determina alcuna violazione dell’art. 1283 c.c. per i seguenti motivi:

  • gli interessi di periodo vengono calcolati sul solo capitale residuo;
  • alla scadenza della rata, gli interessi maturati non vengono capitalizzati, ma sono pagati come quota interessi della rata di rimborso del mutuo, essendo tale pagamento periodico della totalità degli interessi elemento essenziale e caratterizzante dell’ammortamento alla francese, dove la rata costante e la quota capitale rimborsata è determinata per differenza rispetto alla quota interessi.

Si conferma ulteriormente il principio secondo cui l’ammortamento alla francese è valido e legittimo sotto ogni profilo.

Ma, se da un lato la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione del 18 settembre 2020 n. 19597 ha posto (per il momento) fine alle controversie che per anni hanno occupato i tribunali italiani circa l’usura genetica o sopravvenuta presente nei mutui, dall’altro la sentenza del tribunale di Roma n. 2188 del febbraio 2021 sembra aver riaperto i giochi sul lato piano ammortamento alla francese che genererebbe, attraverso l’utilizzo del regime di capitalizzazione composta, un costo occulto per il consumatore a prescindere dall’accettazione, esplicita o tacita, da parte dello stesso.

Secondo il tribunale di Roma, ricalcolando la rata in regime di capitalizzazione semplice emergerebbe, nei mutui con piano di ammortamento alla francese, un costo occulto a carico del mutuatario, dato dal differenziale scaturito dal minor importo della rata.

Tale maggiore onere va inserito nel calcolo del Teg e incide inevitabilmente sulla determinazione del tasso reale ed effettivo del mutuo.

Il ricalcolo con il regime semplice può portare come conseguenza alla nullità della pattuizione degli interessi e quindi di fatto alla gratuità del mutuo.

Ma non è tutto, il tribunale di Taranto, con innovativa sentenza del 29.03.2022 n. 796, affronta un altro aspetto della vicenda legata al tipo di regime utilizzato nel ricalcolo, affermando che il regime di capitalizzazione composta “alla francese” genera anatocismo, che come noto è illecito ai sensi dell’ art. 1283 c.c., decretando, dopo aver fatto ricalcolare l’ammortamento graduale nel “regime semplice”, «la non debenza delle poste anatocistiche».

Nelle motivazioni della sentenza del tribunale di Taranto si legge come nel piano di ammortamento c.d. “alla francese” la capitalizzazione è composta, in tal caso l’anatocismo è insito nella formula di “equivalenza finanziaria” propria del calcolo della rata di mutuo.

Il consulente tecnico d’ufficio ha, nel corso dell’istruttoria, evidenziato le differenze che passano tra un ammortamento in capitalizzazione semplice e uno in capitalizzazione composta.

Rispettando i principi propri del metodo “alla francese” e cioè: rata costante, pagamento di una quota capitale e una quota interessi, uguaglianza tra il debito iniziale e la somma delle quote capitali presenti in ogni singola rata ed equivalenza (relativa) tra il capitale erogato e la somma dei valori attuali delle rate, il primo ammortamento non produce anatocismo.

È emerso, dunque, che il sistema di ammortamento della somma presa a mutuo dall’attore nasconde una pratica illegittima, in quanto infrange il divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c.

Come fare causa

In taluni casi sottoposti all’autorità giudiziaria è emerso come tali contratti nascondano una “doppia anima”: da un lato, il contratto predispone l’applicazione di un tasso di interesse semplice, dall’altro nell’allegare il piano di ammortamento, si inseriscono clausole che comportano l’applicazione di un tasso d’interesse composto, e dunque generative di fenomeni anatocistici, che nel nostro ordinamento trovano il limite dell’art. 1283 c.c.

Inoltre, al di là del fenomeno anatocistico, si ritiene che tale tipologia di contratti si ponga in violazione dell’art. 1284 c.c., nonché dell’art. 117 comma 4 Tub.

Di seguito specifica inoltre che:

è necessario stabilire se, alla luce del contratto prodotto in giudizio, fosse consentito a parte attrice poter conoscere l’effettivo costo del mutuo fondiario e, in caso di risposta negativa, accertare se fosse legittimo che l’istituto bancario potesse percepire un costo del mutuo maggiore di quanto parte contraente avrebbe potuto desumere facendo riferimento ai dati presenti nel contratto stesso.

Nello stesso senso, la già citata sentenza n. 6897/2020 trib. Roma del 5 maggio 2020, che pur non riconoscendo espressamente l’anatocismo nel piano di ammortamento alla francese, assimila gli interessi generati da un simile piano di capitalizzazione composta a degli interessi anatocistici, parlando a tal proposito di “anatocismo finanziario”.

Nei casi in cui vi sia indeterminatezza in punto di interessi, il contratto è da ritenersi parzialmente nullo.

Ne consegue che, attraverso la giurisprudenza di merito più recente, si stia delineando nella sua corretta dimensione giuridica le diverse criticità derivanti dal piano di ammortamento c.d. “alla francese”.

L’importanza della Ctu

In casi in cui si verifichino circostanze analoghe a quelle sopra esposte, laddove si giunga all’introduzione di un giudizio ai fini di veder riconosciute le pretese di cui si è detto, di tutta evidenza è l’esigenza di demandare a un consulente tecnico il compito di ricostruire il rapporto di conto corrente alla luce delle nullità e delle eccezioni richiamate.

Ciò a condizione che la parte concludente abbia già allegato una perizia tecnica, tesa a identificare gli illegittimi addebiti, con indicazioni specifiche e circostanziate, sia nel quantum sia nella collocazione temporale.

Secondo il costante orientamento la consulenza tecnica d’ufficio è identificabile come esplorativa, quindi non ammissibile, solo nei casi in cui sia finalizzata a esonerare la parte dall’onere della prova o richiesta ai fini esplorativi alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provanti (Cass., sez. I, 5 luglio 2007, n. 15219, n. 598314) e non certo la consulenza intesa a ricostruire l’andamento di rapporti contabili non controversi nella loro esistenza.

La Suprema Corte (Cass. n. 5091 del 15.3.2016) ha sancito, a chiare lettere, come la Ctu contabile (ed eventualmente l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.) debba essere concessa in controversie aventi come oggetto l’accertamento della legittimità delle condizioni contrattuali, disciplinanti rapporti di conto corrente e la relativa applicazione, purché:

  • non sia contestata dalla banca l’esistenza effettiva del rapporto obbligatorio;
  • il correntista abbia ottemperato al proprio onere probatorio producendo in giudizio tutta la documentazione in suo possesso, eventualmente richiesta, anteriormente alla contestazione giudiziale del rapporto di conto corrente, alla banca; non riveste importanza, pertanto, la natura parziale di tale documentazione, ma solamente la rilevanza della stessa ai fini delle domande svolte dal correntista;
  • la documentazione prodotta da parte correntista non sia da ritenersi irrilevante.

Come ripetutamente chiarito dalla Suprema Corte, la consulenza tecnica di ufficio può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche (tra le tante ricordiamo le sentenze della Corte di Cassazione civile del 8.1.2004, n. 88; Cass. Civ. del 21.7.2003, n. 11332; Cass. Civ. del 10.3.2000, n. 2802).

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