I tassi dei Treasury a 10 anni hanno superato la soglia psicologica del 4% per la prima volta dagli inizi di agosto. Sell a Wall Street.
La nuova impennata dei prezzi del petrolio e il timore del suo impatto sull’inflazione globale sono tornati a infiammare i rendimenti dei titoli di Stato Usa e a mettere sotto pressione Wall Street.
Risultato: i tassi dei Treasury a 10 anni hanno superato la soglia psicologica del 4% per la prima volta dagli inizi di agosto, scattando fino al 4,024% dopo che, poco più di un mese fa erano scivolati al minimo del 2024, crollando fino al 3,58%. In rialzo anche i rendimenti dei Treasury a 2 anni, balzati al 3,989%.
A Wall Street, il Dow Jones Industrial Average ha perso lo 0,94%, mentre lo S&P 500 è scivolato dello 0,96%. Penalizzato soprattutto il Nasdaq Composite, in flessione dell’1,18%.
L’azionario e l’obbligatorio Usa sono caduti entrambi vittime della paura degli investitori di un nuovo balzo dell’inflazione, sulla scia degli effetti che la riscossa dei prezzi del petrolio, a sua volta provocata dall’escalation delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente, potrebbe avere sul trend generale dei prezzi. E così, quello che sembrava un problema se non archiviato almeno accantonato dalle banche centrali di tutto il mondo, ovvero la persistenza dell’inflazione, si è riproposto come principale market mover inevitabile di queste ultime sessioni.
Attesa per attacco Israele contro l’Iran scatena nuovi buy sul petrolio
Ieri i buy scatenati che si sono riversati sul petrolio hanno portato il contratto West Texas Intermediate (WTI) con scadenza a novembre a salire del 3,47%, attorno a quota $77 al barile, portando a oltre +7% il guadagno YTD. I prezzi del contratto Brent sono avanzati anch’essi di oltre il 3%, superando quota $80 al barile (oltre +4% dall’inizio del 2024).
La nuova febbre che ha investito il mercato dell’oil ha fatto scattare subito sull’attenti chi fa trading sui bond. Bond che erano stati sostenuti nelle settimane precedenti dalla prospettiva di banche centrali pronte a tagliare nuovamente i tassi, confortate ormai dalla minaccia, apparentemente rientrata, dell’inflazione. E invece no: il balzo delle quotazioni di petrolio è tornato a ricordare agli investitori che il ritmo di crescita dei prezzi potrebbe tornare a puntare verso l’alto in qualsiasi momento, a causa dell’instabilità che continua a far tremare lo scacchiere geopolitico mondiale.
Stavolta protagonista è l’attesa della risposta di Israele all’Iran, dopo il lancio di 180 missili dalla Repubblica islamica contro lo Stato ebraico della scorsa settimana, seguito all’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, da parte dell’esercito israeliano.
Come hanno riassunto gli analisti del Global Credit Team di Algebris Investments, società di gestione del risparmio globale, “Israele ha promesso ritorsioni verso l’Iran in seguito agli attacchi avvenuti su tutto il Paese” .
Il presidente degli Stati Uniti Joe “Biden ha dichiarato la possibilità che Israele attacchi i giacimenti petroliferi iraniani, sebbene l’offerta di petrolio iraniano rappresenti solo circa 2 milioni di barili al giorno contro i 100 milioni di barili della domanda globale giornaliera”. Di qui la reazione dei prezzi del petrolio, “saliti di 6 dollari rispetto ai minimi della scorsa settimana”.
In realtà, gli analisti di Algebris hanno fatto notare che, a 75 dollari circa, i prezzi del petrolio restano inferiori di 10 dollari rispetto ai massimi di “giugno/luglio”, ricordando ancheche “gli esperti ritengono che il petrolio possa raggiungere i 100 dollari in uno scenario estremo, in cui le infrastrutture dell’Arabia Saudita vengono colpite e lo Stretto di Hormuz viene chiuso”.
Detto questo, memori delle conseguenze che l’inizio del conflitto in Ucraina il 24 febbraio 2022 ha avuto sull’inflazione di tutto il mondo, gli investitori hanno preferito prendere le distanze dal mercato dei bond, temendo nuove impennate dei prezzi e, di conseguenza, eventuali ripensamenti sulla loro apparente intenzione di continuare a tagliare i tassi, da parte della BCE di Christine Lagarde e della Fed di Jerome Powell.
Petrolio: previsioni sul Brent di Goldman Sachs
Occhio al commento di Goldman Sachs che, in una nota, ha ricordato come i prezzi del Brent, in particolare, si siano impennati del 10% a $78 al barile da martedì scorso, sulla scia delle valutazioni che il mercato sta facendo sul rischio che, in Medio Oriente, si manifestino interruzioni dell’offerta di petrolio, dopo l’attacco iraniano contro Israele.
Goldman Sachs ha ribadito tuttavia che, “a meno che non si verifichi una interruzione significativa dell’offerta, continuiamo ad aspettarci che il Brent venga scambiato in un range compreso tra $70-85, stimando un prezzo medio di $77 al barile per il quarto trimestre del 2024 e di $76 al barile per il 2025”.
Troppe al momento le incertezze su come Israele deciderà di rispondere agli attacchi dell’Iran di martedì scorso, come ha fatto notare Helima Croft, responsabile della divisione di strategia globale delle materie prime di RBC Capital Markets, interpellata dalla CNBC.
Croft ha detto che le conseguenze sul mercato del petrolio sarebbero importanti se Israele colpisse l’isola di Kharg, sito di transito per il 90% delle esportazioni iraniane di crude.
Stamattina i prezzi del crude oil fanno dietrofront: sia il Brent che il WTI perdono alle 7 circa ora italiana più dell’1,5%, scendendo rispettivamente a $79,68 e a $75,90 al barile. A fare dietrofront anche i rendimenti dei Treasury, con quelli a 10 anni in calo al 4,004% e quelli a 2 anni giù al 3,954%.
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