Rischio carcere per chi prende l’Assegno di inclusione senza soddisfarne i requisiti. Ecco tutte le situazioni che possono comportare l’avvio di un procedimento penale.
Quando si fa domanda di Assegno di inclusione, così come per tutti i sostegni erogati dallo Stato, bisogna essere molto attenti a quanto stabilito dalla normativa, in quanto un errore commesso anche in buona fede può costare molto caro.
E dal momento che nel diritto vale la regola per cui “la legge non ammette ignoranza”, non ci si può neppure giustificare dicendo di non essere a conoscenza di quanto stabilito dalla normativa. In ogni caso, quindi sia se colposo che doloso, un errore commesso fa scattare le sanzioni previste, che nei casi più gravi prevedono persino la reclusione del beneficiario dell’Assegno di inclusione.
Con il passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione, il governo ha mantenuto la sanzione della reclusione per chi, tanto per accedere alla misura quanto per continuare a percepirla, mente sulla propria condizione reddituale, patrimoniale o lavorativa, o comunque ne omette delle informazioni rilevanti.
La possibilità di sanzioni penali per chi gode dell’Assegno di inclusione senza averne i requisiti dovrebbe quindi essere sufficiente per giustificare un elevato livello di attenzione sia quando si fa la domanda che durante tutto il periodo di percezione della misura.
A tal proposito, vediamo quali sono gli errori che possono costare un processo penale, con tanto di rischio carcere, a chi beneficia dell’Assegno di inclusione.
Come vedremo di seguito si tratta di errori anche comuni che possono essere commessi in buona fede, ma non per questo trattati in maniera differente rispetto a chi invece lo fa con il chiaro scopo di accedere illecitamente alla misura.
Reclusione e Assegno di inclusione, cosa dice la normativa
È l’articolo 8 del decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 a disciplinare le sanzioni per chi non rispetta regole e obblighi previsti per la fruizione dell’Assegno di inclusione. In particolare, nei primi due commi si parla di reclusione, prevista nei casi in cui:
- chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio economico, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute. In tal caso la reclusione va da 2 a 6 anni;
- invece, l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini del mantenimento del beneficio è punita con la reclusione da 1 a 3 anni.
Possiamo quindi dire che omettere o mentire su qualche informazione necessaria ai fini della valutazione dei requisiti di accesso alla misura comporta la reclusione fino a 6 anni; non comunicare invece informazioni rilevanti ai fini del mantenimento del beneficio si limita a 3 anni.
Inoltre, nel comma 3 viene aggiunto che in seguito a condanna definitiva per delitto non colposo che comporti l’applicazione di una pena non inferiore a 1 anno di reclusione, consegue l’immediata decadenza del beneficio oltre alla restituzione di quanto indebitamente percepito.
Quali sono gli errori che possono portare al carcere
Come visto sopra, bisogna fare molta attenzione già nel momento in cui si fa domanda dell’Assegno di inclusione. Anzi, è opportuno farlo già quando si invia la Dsu ai fini Isee, in quanto false informazioni rese nell’autodichiarazione possono comunque esporre alla sanzione suddetta laddove siano servite ad accedere all’Assegno di inclusione.
Pensiamo ad esempio a chi esclude dal nucleo familiare componenti che in realtà ne fanno parte, eventualità che quest’anno è piuttosto comune visto il cambio delle norme sui figli maggiorenni non conviventi con i genitori. Se fino all’anno scorso era sufficiente che questi avessero compiuto i 26 anni di età per non essere più nel nucleo dei genitori, oggi è necessario che siano sposati, abbiano figli oppure che abbiano un reddito tale da non risultare più a carico dei genitori.
Così come se ci sono dei redditi non comunicati nell’Isee, ad esempio in caso di lavoro in nero. Solitamente, infatti, solo il datore di lavoro viene sanzionato per lavoro nero, ma nel caso in cui il reddito percepito ma ovviamente non dichiarato serva al dipendente per godere di altri vantaggi e bonus, come appunto nel caso dell’Assegno di inclusione, anche questo è a rischio.
E ancora, nel momento in cui si fa domanda dell’Assegno di inclusione ci sono diverse informazioni da comunicare, tra cui se ci sono stati componenti del nucleo familiare che negli ultimi 12 mesi hanno rassegnato le dimissioni (eccetto il caso della giusta causa). Rispondere negativamente pur in presenza di questa situazione espone alla sanzione suddetta, in quanto altrimenti il diritto all’Assegno di inclusione sarebbe stato negato visto che non se ne può beneficiare laddove anche uno solo dei componenti abbia rassegnato le dimissioni nell’ultimo anno.
Lo stesso vale per chi pur essendo in regola con la domanda non comunica in un secondo momento variazioni rilevanti al fine del mantenimento del diritto alla misura. Ad esempio per chi avvia un’attività lavorativa - sia come autonomo che come dipendente - la cui comunicazione va data entro 30 giorni utilizzando il modello Adi-Com. Lo stesso va utilizzato nel caso in cui uno o più componenti abbiano rassegnato le dimissioni, oppure se nel frattempo sono risultate vincite o donazioni tali da comportare il superamento delle soglie patrimoniali previste per godere della misura.
A rischio anche chi non comunica variazioni del nucleo familiare nel periodo di percezione della misura, per quanto in tal caso non vada utilizzato il modello Adi-Com. Entro 120 giorni dalla variazione, come ad esempio può essere l’aggiunta di una persona o l’uscita di un’altra, serve presentare un nuovo Isee e nel caso in cui la variazione dipenda da una causa diversa da nascita o morte è anche necessario fare una nuova domanda.
Non comporta il carcere, invece, il mancato rispetto della condizionalità prevista, ad esempio se non si accetta un’offerta di lavoro ritenuta congrua. In tal caso scatta solo la decadenza della misura (senza neppure l’obbligo di restituzione di quanto percepito).
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