Assistenza disabili: è riconosciuta ai fini della pensione?

Antonio Cosenza

15 Ottobre 2020 - 18:07

Assistenza disabili: come viene riconosciuta ai fini della pensione? Ecco quando spetta l’accredito della contribuzione figurativa.

Assistenza disabili: è riconosciuta ai fini della pensione?

L’assistenza al disabile che comporta la sospensione dell’attività lavorativa è riconosciuta ai fini previdenziali, in quanto per questi periodi è riconosciuto l’accredito dei contributi figurativi utili per la pensione.

Sono diverse le misure che il nostro ordinamento riconosce a quei lavoratori che hanno necessità di assistere il coniuge, il figlio, o comunque un parente affetto da handicap in situazione di gravità; a questi viene data la possibilità di assentarsi dal posto di lavoro senza perdere la retribuzione, riconoscendo tra l’altro per questi periodi di assenza la dovuta contribuzione figurativa utile per l’accesso alla pensione.

E non bisogna dimenticare che per chi assiste un familiare con grave handicap ci sono anche agevolazioni per l’accesso alla pensione, con la possibilità - ad esempio - di smettere di lavorare indipendentemente dall’età anagrafica ricorrendo a Quota 41, oppure di accedere all’Ape Sociale.

Di seguito, però, ci concentreremo su come vengono riconosciuti - ai fini della pensione - quei periodi in cui il lavoratore è costretto a sospendere l’attività lavorativa per poter soddisfare il bisogno di assistenza del proprio familiare con grave handicap.

Permessi giornalieri per chi assiste un familiare con handicap: come sono riconosciuti ai fini della pensione

Uno dei primi strumenti a cui possono attingere quei lavoratori dipendenti che hanno necessità di assistere familiari o affini portatori di handicap grave è quello riconosciuto dall’articolo 33 della legge 104/1992.

Questo consente al lavoratore dipendente, sia pubblico che privato, di assentarsi dal posto di lavoro per tre giorni al mese qualora abbia necessità di assistere una persona con handicap in situazione di gravità che risulti essere:

  • coniuge;
  • parente o affine entro il secondo grado;
  • parente o affine entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti, o anche siano deceduti o mancanti.

Di questi permessi possono avvantaggiarsi anche i lavoratori portatori di handicap; a questi spetta la stessa valorizzazione dei suddetti periodi ai fini della pensione riconosciuta ai normodotati.

Nei tre giorni di permesso mensile il lavoratore non solo percepisce la retribuzione al 100% come se avesse lavorato, ma gode anche della copertura previdenziale.

I periodi di assenza dal lavoro riferiti ai permessi 104, infatti, sono coperti dalla contribuzione figurativa che in questo caso viene accreditata d’ufficio dall’INPS (e ovviamente senza alcun onere per l’interessato). Tuttavia, come sottolineato dalla circolare INPS 87/2001, dal momento che si tratta di singole giornate di riposo la contribuzione figurativa è riconosciuta solamente come quota integrativa: di conseguenza, non va ad incidere sul numero di contributi settimanali spettanti all’interessato, ma se ne tiene in considerazione solamente per il calcolo della misura della pensione.

Pensione: cosa cambia quando i permessi 104 vengono fruiti ad ore

In alternativa, i permessi riconosciuti dalla legge 104/1992 possono essere fruiti in modalità oraria, scegliendo così di aver diritto a due ore di permesso giornaliero; questa possibilità è però riservata ai soli lavoratori con handicap, o comunque per i normodotati che assistono i propri figli minorenni con handicap grave (questi ne possono usufruire come alternativa all’astensione facoltativa).

A tal proposito, per quantificare la retribuzione figurativa su cui calcolare tali permessi si prende come riferimento il 200% del valore dell’assegno sociale in pagamento al 1° gennaio dell’anno di interesse (ad esempio nel 2020 questo ha un valore di 459,83€).

Pensione: cosa spetta a chi fruisce del congedo straordinario per l’assistenza disabili

Altra misura a cui possono ricorrere all’occorrenza coloro che assistono familiari disabili è il congedo straordinario introdotto dal Dlgs 151/2001, della durata di massimo due anni. Ne possono fruire:

  • il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata
  • padre o alla madre anche adottivi in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente;
  • uno dei figli conviventi anche adottivi in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre;
  • uno dei fratelli o sorelle conviventi in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi.

Durante questo periodo di assenza dal lavoro, il dipendente ha diritto ad un’indennità sostitutiva di congedo pari all’ultima retribuzione percepita, oltra alla relativa copertura figurativa.

A differenza di quanto succede per i permessi 104, quest’ultima è utile sia per l’acquisizione del diritto alla pensione che per il calcolo dell’assegno.

Va detto, però, che per evitare un esborso insostenibile per le casse dello Stato viene fissato ogni anno un tetto oltre il quale non si può andare: nel dettaglio, nel 2020 tra indennità economica e accredito figurativo non si possono superare i 48.737 euro (di questi, però, solamente 12.092€ sono a disposizione dell’INPS per l’accredito dei contributi figurativi).

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