È possibile considerare l’investimento in energia rinnovabile al pari di un bene rifugio? «Sotto una serie di diversi punti di vista questa affermazione è vera».
Il tema dell’energia rinnovabile, del suo sviluppo all’interno del paese e in generale di una indipendenza energetica è più che mai centrale dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni economiche alla Russia. Recentemente l’Italia ha firmato un nuovo accordo con l’Algeria assicurandosi il gas e sostituendo così le forniture russe.
L’Italia è fortemente dipendente dal consumo di gas per la copertura del fabbisogno energetico, 42% nel 2020, e per la maggior parte questo viene importato, nel 2021 il 95%. In particolare le forniture, in questi ultimi anni, oltre che dalla Russia provengono dall’Algeria, il Qatar, l’Azerbaijan e la Libia.
Ma non è tutto. L’Italia nel complesso è il terzo produttore di impianti rinnovabili in Europa e parte dell’energia elettrica prodotta arriva da fonti green. In particolare l’idroelettrico a cui seguono il solare fotovoltaico, le bioenergie, l’eolico e il geotermico.
«L’Italia sta principalmente puntando su fonti rinnovabili elettriche. In particolare sul fotovoltaico e sull’eolico per poter raggiungere gli obiettivi vincolante del Piano Nazionale Integrato Energia clima al 2030». Spiega a Money.it Alessandro Corsini, professore ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente presso l’Università La Sapienza di Roma.
Sono quasi 8mila i comuni nei quali è installato almeno un impianto fotovoltaico, 7mila quelli con un impianto solare termico, 3mila con sistemi a bioenergia, e più di mille in cui si sfrutta l’energia idroelettrica o con impianti eolici, solamente 500 quelli in cui ci si approvvigiona anche tramite geotermia, secondo i dati del rapporto Comunità rinnovabili di Legambiente. Sono già oltre 3mila i comuni in cui la componente rinnovabile supera il fabbisogno elettrico delle famiglie, di cui 41 in cui si soddisfa interamente anche quello termico.
«I motivi sono principalmente legati alla maturità tecnologica alla presenza di operatori industriali nazionali ma presenti su scala mondiale oltreché alla disponibilità di pratiche di permitting consolidate. Un elemento di riflessione è legato alla necessità di quasi raddoppiare la capacità installata tanto nel fotovoltaico quanto nell’eolico per raggiungere gli obiettivi 2030. La novità è invece rappresentata dalla richiesta di circa 37 giga watt di autorizzazioni legate a centrali eoliche offshore. Novità, questa, assoluta nel Mar Mediterraneo ma che rappresenta un potenziale game changer».
Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 è uno strumento fondamentale che segna l’inizio di un importante cambiamento nella politica energetica e ambientale del paese. Si struttura in cinque linee d’intervento, che si svilupperanno in maniera integrata: dalla decarbonizzazione all’efficienza e sicurezza energetica, passando attraverso lo sviluppo del mercato interno dell’energia, della ricerca, dell’innovazione e della competitività.
«In termini di investimento il sistema di incentivi esistente basato sul cosiddetto conto energia è oggi ancora attivo per fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico e giudicato oramai maturo per una parità di rete». Il conto energia è un incentivo statale che permette di ricevere un compenso per l’energia elettrica prodotta tramite il proprio impianto fotovoltaico per 20 anni. Il decreto «Conto Energia» ne stabilisce criteri e modalità, ma non si tratta dell’unico incentivo previsto perché «incentivi di natura diversa sono invece legati all’introduzione di fonti rinnovabili nei settori residenziali attraverso le varie forme di eco bonus e gli incentivi dedicati alla costituzione di comunità energetiche rinnovabili, ovvero aggregazioni di consumatori produttori e prosumer in grado di garantire oltre l’80% di autoconsumo della generazione energetica di comunità».
La situazione energetica italiana potrebbe cambiare perché «questo modello dovrebbe modificare dal basso la struttura delle reti energetiche garantendo una capillare diffusione di tecnologie energetiche rinnovabili e quindi un contributo notevole al raggiungimento delle capacità installate richieste dagli obiettivi 2030». E bisogna anche contare che «questa evoluzione dei sistemi energetici, nel senso della loro decentralizzazione, dovrebbe costituire condizione di mitigazione della dipendenza dai combustibili fossili e in particolare al gas naturale, fonte energetica primaria sulla quale la generazione di energia elettrica si basa».
Nell’ultimo periodo, si torna a parlare di beni rifugio, ossia tutti quei beni con un valore intrinseco, destinato a resistere (o persino aumentare) nei momenti di flessione dell’azionario. È possibile considerare l’energia rinnovabile al pari di un bene rifugio?
Sotto una serie di diversi punti di vista questa affermazione è vera: in primo luogo, è un bene rifugio nel senso che garantisce un disaccoppiamento tra soddisfacimento di un fabbisogno essenziale energia e il corrispondente impatto ambientale. Da questo punto di vista è quindi un bene rifugio volto ad aumentare la resilienza del sistema e mitigare l’impatto sui cambiamenti climatici. In secondo luogo, poi l’investimento in fonti energetiche rinnovabili se prendiamo ad esempio il caso delle comunità energetiche in cui l’incentivo è collegato al prezzo unico nazionale si configura come una garanzia nei confronti delle sue eccessive oscillazioni. Da ultimo ogni kW installato in una tecnologia rinnovabile costituisce un bene rifugio perché mette al sicuro o tenta di farlo un po’ del nostro futuro.
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