Fra sottoscrizione di nuovi titoli, garanzie e linee di credito, la Germania ha sborsato 15 miliardi di euro. Ma tutto dipende dall’operatività di Nord Stream. E quella strana querelle sulla turbina
Non è bastata nemmeno la rassicurazione implicita rappresentata dal ritorno in funzione, seppur con operatività ridotta, di Nord Stream 1. La crisi di liquidità di Uniper già denunciata dal vice-presidente del Consiglio di sorveglianza era talmente terminale da aver costretto il governo tedesco a varcare il Rubicone di quella che è, di fatto, una nazionalizzazione mascherata. E che segue quella esplicita di Parigi nel confronti di EDF, tornata sotto l’ala dello Stato per 9,7 miliardi di euro.
La società energetica statale finlandese Fortum (principale azionista della utility) e lo Stato tedesco ieri hanno infatti annunciato che quest’ultimo acquisirà una partecipazione del 30% in Uniper, sottoscrivendo circa 157 milioni di nuove azioni ordinarie nominative al valore nominale di 1,70 euro per azione a fronte di un corrispettivo in contanti di circa 267 milioni di euro. Inoltre, Berlino si è impegnata a mettere a disposizione ulteriore capitale fino a 7,7 miliardi di euro a fronte dell’emissione di strumenti a conversione obbligatoria - se necessario - per far fronte a potenziali perdite. Infine, la banca statale tedesca KfW fornirà a Uniper ulteriori 7 miliardi di euro a sostegno della liquidità attraverso un aumento della sua linea di credito esistente, la quale passa quindi dagli attuali 2 miliardi di euro a 9 miliardi di euro.
Ma non basta ancora. Il governo tedesco si è anche impegnato a introdurre un meccanismo di assorbimento dei costi che copra il 90% delle perdite derivanti da aumenti per i volumi di sostituzione del gas causati dalle riduzioni operate da Mosca dal 1 ottobre. Alla luce di quanto concordato, l’attuale partecipazione di Fortum in Uniper (pari a circa l’80%) verrà diluita al 56% al momento dell’iniezione di capitale iniziale, mantenendo comunque la società finlandese come l’azionista di maggioranza e soggetto chiamato a consolidare Uniper come controllata. Insomma, il rischio di un weekend che vedesse Berlino chiamata a una decisione sull’orlo del baratro in stile Lehman Brothers è stato evitato soltanto per 24 ore. Anzi, è stato volutamente anticipato, al fine di evitare rischi ulteriori.
Tutto bene? Tutto risolto? Non proprio. E ce lo mostrano questi due grafici,
il primo dei quali cristallizza la reazione di mercato alla notizia. Se le prime indiscrezioni sull’accordo rilanciate da Bloomberg avevano infatti fatto salire il titolo di Uniper del 7%, una volta letti i dettagli il mercato ha bocciato l’intesa e spedito l’azione a -16% a un minimo di 6,95, salvo chiudere a 7.46 dai 10,33 dell’apertura. Comunque sia, se non una bocciatura totale, almeno tre materie da riparare a settembre. E il motivo è insito nella seconda immagine: con Nord Stream che opera al 40% della capacity e gli stoccaggi tedeschi al 65% del totale rispetto al 90% necessario entro il 1 novembre, il mercato prezza già oggi il worst case scenario.
Ovvero, se una qualsiasi disputa geopolitica o diplomatica dovesse far riesplodere il contenzioso sul gas con Mosca, cosa accadrebbe alle riserve tedesche per l’inverno, stante un governo che ha già messo sul piatto 15 miliardi ma che potrebbe essere chiamato a un vero e proprio dissanguamento di denaro pubblico, in caso di esplosione al rialzo delle quotazioni sullo spot market? Se infatti Berlino è intervenuta per evitare un’insolvenza che finanziarizzasse una crisi finora mantenuta a fatica nell’ambito energetico, un nuovo stop a Nord Stream anche solo temporaneo o limitato a una ulteriore riduzione dei flussi, genererebbe immediatamente un effetto valanga sul comparto. E sui conti di Uniper.
E in tal senso, il mercato guarda con apprensione a quanto sta avvenendo nel quadrilatero del gas che unisce Ottawa a Bruxelles fino a Berlino e Mosca. La querelle sulla famosa turbina della Siemens necessaria proprio per ottimizzare l’operatività di Nord Stream verso la Germania non è affatto terminata, tanto che il Cremlino ha deciso che fosse giunto il momento di denunciare quanto riportato da Reuters come non sense. Ovvero, la turbina sarebbe bloccata in transito fra la Germania e la Russia, dopo aver ottenuto la deroga speciale dalle sanzioni dal Canada, Paese nel quale si trovava presso una facility di Siemens. A detta dell’agenzia di stampa, Mosca non avrebbe ancora dato il via libera alla spedizione dalla Germania, mentre la Russia sottolinea come sia l’azienda tedesca a non aver ancora inviato e sottoposto alle autorità della Federazione alcun documento ufficiale che notifichi la spedizione.
Apparentemente un misunderstanding risolvibile. Ma ad appesantire il clima e far temere un nuovo precipitare della situazione ci sta pensando il dibattito in seno all’Ue rispetto a una riduzione del 15% dell’utilizzo di gas fino alla primavera del 2023, proprio al fine preparatorio di un affrancamento dalla dipendenza energetica da Mosca. Di fatto, una sorta di solidarietà europea sugli stoccaggi comuni verso le difficoltà di Berlino. A cui però già Spagna e Grecia hanno già opposto il loro rifiuto, garantendo a Vladimir Putin un nuovo tallone d’Achille europeo da trasformare in obiettivo.
In contemporanea con l’annuncio relativo a Uniper, il Cremlino ha infatti reso noto come non fornirà più petrolio a Paesi che diano via libera al tetto sul prezzo, poiché Mosca non intende vendere in perdita. E questo grafico
mostra come, nel frattempo, Mosca abbia trovato un facoltoso cliente alternativo cui offrire la propria energia. Magari a sconto ma per controvalori e volumi enormi e, soprattutto, in ossequio a un accordo di cooperazione che vale oro in un contesto sanzionatorio e di rinnovato bipolarismo muscolare. Attenzione, insomma. Perché quello che può apparire un accordo scaccia-crisi, pur siglato giocoforza, potenzialmente potrebbe invece rivelarsi il detonatore di qualcosa di peggiore. E sistemico. E se la Germania precipita in recessione, le aziende italiane di subfornitura di macchinari e componentistica possono abbassare fin da ora le saracinesche.
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