Il timore della decrescita economica cinese porta il PCC a invertire la rotta sulla one-child policy e a finanziare la ripresa demografica del Paese.
Dalla politica del figlio unico ad oggi è cambiato il mondo ma è cambiata soprattutto la Cina, il suo rapporto con la natalità e con il matrimonio. Il governo centrale di Pechino lo sa bene e cerca di invertire la rotta da tempo approdando oggi a nuovi esiti a sfondo economico.
Nella contea di Changshan, nella provincia orientale di Zhejiang, è stato infatti promulgato un provvedimento che prevede ricompense di 1.000 yuan (circa 127 euro) per le coppie che si sposano per la prima volta e in cui la sposa abbia meno di 25 anni. Questo in un Paese dove l’età legale per sposarsi è 22 anni per gli uomini e 20 per le donne.
L’iniziativa dell’amministrazione avrebbe lo scopo dichiarato di favorire nuove nascite e - secondo quanto recitano i documenti ufficiali - mira ad incentivare «il matrimonio adatto all’età e la gravidanza». L’ente locale annuncia inoltre sussidi mirati per l’istruzione e la cura dei figli. È così che, ancora una volta, la sfera personale e familiare è oggetto di politiche d’intervento da parte del Partito in nome di quello che gli esperti definiscono come il principio dell’«utilitarismo riproduttivo».
Per capire meglio di cosa si tratta e quali siano le origini sociodemografiche di una svolta come questa è importante approfondire l’approccio culturale sinico con il tema della fertilità e la sua relazione con l’ideologia comunista.
leggi anche
L’India supera la Cina per popolazione: è sfida economica tra i due giganti, cosa succederà?
La crisi demografica in atto
La correlazione tra controllo delle nascite e stabilità del sistema politico e statale è un’equazione semplice e dagli evidenti riflessi socioeconomici in tutte le società moderne, basti pensare alla crisi dei sistemi pensionistici quando il numero di anziani supera quello dei giovani e dei nuovi nati.
In Cina però il dividendo demografico è stato (auto)alimentato dalla «politica del figlio unico», la stringente misura di controllo delle nascite imposta dal PCC per 35 anni - dal 1980 al 2015.
Come dichiarato anche dal professor Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, "allora la Cina superava il miliardo di persone, con gli under 25 che erano il 55% della popolazione e gli over 65 che non arrivavano al 5%. Questa scelta [...] è servita dal punto di vista della crescita complessiva, ma ha portato un invecchiamento e uno squilibrio interno per le età: gli under 25 sono dimezzati e gli over 65 li superano».
All’epoca l’obiettivo era quindi ridurre la pressione demografica ma oggi la situazione sarebbe emergenziale: nel 2022 il numero dei morti ha ufficialmente superato quello dei nuovi nati (9,56 milioni) per la prima volta dopo più di 60 anni.
Statistiche come queste hanno quindi spinto il Governo a manovre in controtendenza: dall’abolizione della policy a misure di incentivo alla procreazione con 2 o più figli per coppia. Un’inversione di rotta che oggi approda alle rive del compenso monetario, anche se non si tratta di una novità.
Non è la prima volta che si ricorre al denaro
La dimensione economica legata ai diritti riproduttivi femminili va inquadrata nel più ampio scenario delle conseguenze pragmatiche del complesso e ramificato fenomeno della disparità di genere in Cina.
La predominanza maschile nella società cinese è numerica e ideologica insieme, in un ciclo vizioso alimentato proprio dalla sopracitata “politica del figlio unico”. Fino al 2016 per partorire era necessaria un’autorizzazione governativa e diffusissimi su scala nazionale erano provvedimenti invasivi quali la sterilizzazione e l’interruzione di gravidanza forzata e soprattutto l’aborto selettivo in base al genere connesso alla pratica dell’infanticidio femminile.
Quest’ultima dinamica in particolare ha generato una forte asimmetria tra i sessi; si stima che nel 2022 la popolazione maschile era di 722,06 milioni e quella femminile di 689,69 milioni. Motivo per cui convolare a nozze (e fare figli) è sempre più difficile, tanto da alimentare e riportare in auge l’antica tradizione dell’offerta di doni (e di denaro) alla famiglia della donna pur di rendere più allettante la promessa di matrimonio.
Da qui l’ormai noto «mercato delle spose» con trattative che secondo alcuni dati in alcune province arrivano a sfiorare cifre di 20.000 dollari. Il discrimine a questo punto diventano le condizioni economiche delle famiglie delle giovani che spesso vivono in aree rurali depresse e sono portate ad accettare l’accordo pur di risanare le proprie finanze.
Quello di Changshan in sintesi potrebbe essere considerato sotto certi aspetti un primo tentativo di «statalizzazione» - spinto dal rischio di decrescita economica nazionale - delle pratiche già in atto in una certa fascia della popolazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA