Bonus prima casa: per la coppia di fatto separata decade l’agevolazione

Antonella Ciaccia

18/07/2022

Conviventi senza bonus prima casa. In caso di separazione tra coppie di fatto non potranno applicarsi gli stessi benefici previsti per le coppie sposate. Lo dice la Cassazione: vediamo perché.

Bonus prima casa: per la coppia di fatto separata decade l’agevolazione

Come noto a seguito dell’entrata in vigore della legge del 20 maggio 2016, n. 76, conosciuta come legge Cirinnà, il nostro ordinamento riconosce tutela alle unioni civili e alle c.d. coppie di fatto. Purtroppo però, nonostante l’apertura del legislatore, queste unioni non sono ancora del tutto sovrapponibili, quanto agli effetti, al matrimonio.

A determinarlo è anche una recente sentenza della Cassazione con la quale i giudici di legittimità si sono pronunciati sul diritto o meno a continuare a beneficiare del bonus prima casa anche quando la coppia di fatto, non legata da matrimonio, interrompe la relazione.

La Suprema Corte stabilisce che per la coppia di fatto separata, decade l’agevolazione, pertanto il fisco può recuperare le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, più sanzioni e interessi, e rideterminare l’imposta sostitutiva sul mutuo.

Approfondiamo in questo articolo cosa prevede la legge per le agevolazioni prima casa, per i coniugati e parimenti per le coppie di fatto, per le quali le differenze si individuano si dal punto di vista patrimoniale e successorio, ma anche dal punto di vista fiscale.

Bonus prima casa: le agevolazioni per le coppie sposate

Il bonus prima casa è un’agevolazione fiscale di cui è possibile godere all’atto dell’acquisto della casa per chi risponde a una serie di requisiti (reddituali e non) previsti dalla legge.

La giurisprudenza della Cassazione, in linea generale, prevede che, per le coppie sposate, in caso di separazione o divorzio, se un coniuge cede all’altro la propria quota sulla casa familiare, fa salvi i bonus e le agevolazioni fiscali, in quanto sono esenti da tassazione gli atti compiuti in conseguenza della crisi coniugale.

In tema di agevolazioni «prima casa», è previsto che il trasferimento dell’immobile prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto, se effettuato in favore del coniuge in virtù di una modifica delle condizioni di separazione non comporta la decadenza dai benefici fiscali, in quanto occorre favorire la complessiva sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in occasione della crisi, escludendo che derivino ripercussioni fiscali sfavorevoli dagli accordi intervenuti in tale sede.

Inoltre colui che acquista il bene immobile non può vendere l’abitazione prima di 5 anni, a meno che ne acquisti un’altra, entro un anno, avente le stesse caratteristiche.

Le agevolazioni fiscali per le coppie di fatto

La legge Cirinnà, pur avendo riconosciuto le unioni di fatto, non regolamenta gli aspetti fiscali e c’è da dire che neppure la Corte europea dei diritti dell’uomo impone di riconoscere pari diritti in tema di abitazione dopo la rottura del rapporto senza differenze fra coppie sposate e quelle di fatto.

Ed è proprio sugli aspetti fiscali che regolano la materia dell’unione di fatto che si è concentrata la recente sentenza della Corte Cassazione, n. 20956 del 1° luglio 2022 che è intervenuta su un caso di trasferimento ante tempus della quota dell’immobile avvenuta tra soggetti uniti di fatto e poi separati.

I giudici di legittimità si sono pronunciati sul diritto o meno a continuare a beneficiare del bonus prima casa anche quando la coppia di fatto, non legata da matrimonio, interrompe la relazione. Gli Ermellini hanno accolto il ricorso richiesto dell’Agenzia delle Entrate per l’esclusione dell’applicabilità, anche nel caso delle coppie di fatto, del regime tributario di favore riguardante gli atti di scioglimento del matrimonio di cui all’art. 19 della L. 74/1987.

Ebbene, secondo i giudici, in caso di rottura del rapporto tra coppie di fatto non potranno applicarsi gli stessi benefici previsti per le coppie sposate: per queste sono esentasse solo gli atti collegati alla separazione e al divorzio, pertanto legittimamente il fisco può recuperare le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, più sanzioni e interessi, e ridetermina l’imposta sostitutiva sul mutuo.

Il caso portato davanti ai giudici di Cassazione

Le vicende del caso in esame vedono come soggetto una coppia di fatto che interrompe la relazione qualche anno dopo aver acquistato un immobile da adibire a casa d’abitazione, con contestuale stipula di un contratto di mutuo usufruendo delle agevolazioni «prima casa».

Per regolare i rapporti patrimoniali lei cede la sua metà dell’immobile all’ex convivente che si assume le rate del finanziamento. Tuttavia, ella non procedeva all’acquisto di una nuova abitazione con i requisiti della «prima casa» entro un anno dalla predetta alienazione.

A tale operazione non ha fatto seguito l’acquisto di un altro immobile da adibire a propria abitazione principale, la qual cosa ha indotto l’Agenzia delle Entrate a recuperare nei confronti della donna le imposte in misura ordinaria, stante la decadenza dall’agevolazione «prima casa» secondo il disposto dell’art. 1, Nota II bis, comma 4, della Tariffa parte prima allegata al T.U.R.

Ebbene, i giudici tributari della Puglia, sia di primo che di secondo grado, hanno escluso la decadenza e, quindi, la legittimità del recupero a tassazione, ritenendo configurata un’ipotesi di “forza maggiore” e, comunque, che la cessione fosse qualificabile come una sorta di novazione soggettiva volta a regolare i rapporti patrimoniali dei conviventi.

L’Agenzia delle Entrate ha insistito nella propria pretesa proponendo ricorso davanti ai giudici di legittimità, i quali lo hanno accolto, rigettando – con decisione nel merito – l’originario ricorso della contribuente.

Bonus prima casa e conservazione dei benefici fiscali

Ricordiamo che la disciplina sul bonus prima casa, statuisce che in caso di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici “bonus prima casa” prima del decorso del termine di cinque anni dalla data dell’acquisto, il contribuente conserva detti benefici se entro un anno dall’alienazione dell’immobile procede all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

La giurisprudenza stabilisce però che, nell’ambito di una procedura di separazione o divorzio consensuale, se la donazione o la vendita avvengono prima di 5 anni, non vi sarà alcuna decadenza, neanche se il cessionario non riacquista, nell’anno successivo, un nuovo immobile da destinare alla propria prima casa.

La Cassazione: per le coppie di fatto decade l’agevolazione «prima casa»

A differenza di quanto sopra detto che riguarda i benefici restanti a chi si separa o divorzia nel matrimonio, lo stesso non vale per le coppie di fatto.

La Suprema corte decide nel merito, rigettando gli originari ricorsi, poi riuniti, proposti della contribuente, di cui sopra abbiamo parlato.

Per le coppie di fatto, secondo i giudici supremi, decade dall’agevolazione prima casa l’acquirente che, prima del decorso di cinque anni dalla data del rogito di acquisto, venda all’altro comproprietario la propria quota del 50% di un’abitazione acquistata avvalendosi del beneficio fiscale senza acquistare un altro immobile entro un anno.

Gli Ermellini hanno precisato che la causa di forza maggiore si tipizza in un evento imprevedibile, inevitabile e a tal punto cogente da sovrastare, precludendone obiettivamente la realizzazione, la volontà stessa dell’acquirente, la cui condotta non realizzativa del dichiarato presupposto dell’agevolazione risulta, per tali ragioni, in definitiva a lui non imputabile.

Nel caso in esame, la contribuente si è limitata a dedurre in giudizio la necessità di lasciare la casa di abitazione condivisa con il convivente di fatto che, al pari del mancato ricavo di un corrispettivo in denaro da destinare all’acquisto di altra abitazione, costituisce:

«un mero motivo soggettivo piuttosto che una vera e propria causa di forza maggiore essendo l’alienazione della quota di proprietà del bene una scelta pur sempre riconducibile alla volontà della contribuente medesima. Né può essere attribuito rilievo decisivo alle «gravi difficoltà economiche» conseguenti "alla cessazione della convivenza”»

in ragione di quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità a proposito dell’incidenza delle crisi di liquidità in materia tributaria (ad es. Cass. n. 22153/2017).

Gli Ermellini hanno inoltre affrontato la questione concernente l’applicabilità, in via estensiva, ai rapporti di convivenza di fatto del regime tributario di favore di cui all’art. 19 della L. n. 74 del 1987.

Essi hanno osservato che, gli atti negoziali afferenti e funzionalmente collegati al procedimento di separazione o divorzile, non possono valere nelle ipotesi di crisi delle convivenze di fatto, neppure a seguito della Legge n. 76 del 2016 (c.d. legge Cirinnà), la quale ha introdotto nell’ordinamento italiano una specifica disciplina per l’unione civile tra persone dello stesso sesso e per le convivenze di fatto senza, tuttavia, regolarne organicamente gli aspetti fiscali, che devono quindi essere ricostruiti in via interpretativa.

Pertanto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso erariale e respinto, per l’effetto, l’originario ricorso della contribuente, senza addebitarle le spese processuali in ragione della novità delle questioni trattate.

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