Su migranti, economia e visione sociale Cei e governo Meloni si distanziano. La sinergia di inizio esecutivo non c’è più da maggio. Ma una rottura non conviene.
Tra Giorgia Meloni e le gerarchie vaticane il tentativo di entente cordiale tentato dalla premier nei primi mesi di governo e la fase di reciproca “luna di miele” sembra essere giunta al termine. E il combinato disposto tra sinodo, crisi migratoria e posizionamento dell’Italia nella guerra tra Israele e Palestina pare aver convinto le grandi gerarchie episcopali italiane e i vertici vaticani di una divergenza politica crescente rispetto all’era dei governi precedenti. A titolo diverso, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi hanno ottenuto un cappello di legittimazione dall’Oltretevere. Con Meloni il fatto è diverso. Fatta salva una relazione cordiale e consolidata tra la premier e Papa Francesco, però, i rapporti politici sono ad alta tensione.
Da dove nasce la divergenza
C’entrano molti fattori. Il derby a destra tra la Lega e Fratelli d’Italia spinge l’esecutivo a dibattere sulle misure-bandiera su temi come sicurezza e immigrazione. Le scelte economiche del governo, distanziandosi dalla visione tipica del cristianesimo sociale (ma anche della destra sociale) hanno promosso misure di compressione del welfare che enti come la Conferenza Episcopale Italiana aveva negli anni promosso. Sul fronte internazionale, l’atlantismo e l’occidentalismo di Meloni non si conciliano bene con l’ecumenismo cattolico. La Chiesa, poi, è in campagna elettorale permanente perché le condizioni di salute precarie del Papa lasciano pensare che nei prossimi anni un nuovo conclave possa essere plausibile e smarcarsi da un governo ritenuto conservatore può favorire politicamente quei candidati che ambiscono al soglio pontificio e vogliono presentarsi campioni dell’ala più progressista di Santa Romana Chiesa. [...]
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