Argentina e Iran hanno presentato formale domanda di ammissione al club degli emergenti, un ingresso che porterebbe l’unione a pesare per il 25% del Pil mondiale. E la Bis stende il tappeto allo yuan
L’assonanza ricorda l’antico nome di Brescia, Brixia. Ma non c’entra nulla. Troppo impegnati a seguire le contorsioni sul tetto al prezzo dell’energia di un G7 che è parso nulla più se non il preambolo al vertice Nato aperto oggi a Madrid, i media occidentali si sono scordati di ragguagliare il mondo su un accadimento di poco conto avvenuto al contemporaneo Forum economico dei Brics a Pechino.
Argentina e Iran, infatti, hanno presentato formale domanda di adesione al club dei Paesi emergenti. Il quale, alla luce dei nuovi ingressi, rappresenterebbe così il 43% della popolazione mondiale e il 25% del Pil. Insomma, una potenza economica che il mondo può permettersi di snobbare unicamente a suo rischio e pericolo. Tanto più che il summit ha riaffermato le linee guida tracciate da Xi Jinping nel suo discorso di inaugurazione e benvenuto: aumento della collaborazione economica e commerciale fra gli Stati membri, preparazione del paniere valutario da contrapporre a dollaro ed euro negli scambi internazionali e, di fatto, conferma del legame privilegiato con la Russia, alla luce di un regime sanzionatorio che minaccia quotidianamente di irrigidirsi ulteriormente.
Insomma, la narrativa in base alla quale Mosca avrebbe isolato se stessa dal mondo con la decisione di attaccare l’Ucraina, di fatto cozza con la realtà. E con le richieste di nuovi ingressi. E non di due due Paesi di poco conto. L’Argentina andrebbe infatti ad affiancarsi al Brasile, creando una sorta di spina dorsale alternativa all’egemonia Usa in America Latina. Mentre l’Iran, al netto delle sanzioni, porterebbe in dote uno status di bene rifugio geopolitico enorme, non fosse altro per la posizione strategica e per il ruolo chiave nei processi energetici e nucleari globali. Insomma, evitare di menzionare l’accaduto, può spiegarsi unicamente con due alternative, Scarso fiuto per le notizie o scelta strategica, quest’ultima al fine di nascondere sotto al tappeto un nuovo ordine di equilibri globali che nasce. E cresce.
D’altronde, il default russo non ha funzionato granché a livello mediatico. Certo, il fatto che il mercato non se ne sia nemmeno accorto ha giocato la sua parte ma che qualcosa cominci a scricchiolare lo dimostra la decisione di Moody’s di intervenire per confermare l’avvenuto evento di credito. Trattandosi della medesima agenzia di rating che, proprio in ossequio alle sanzioni, aveva annunciato lo stop a ogni rilevazione sulla solvibilità di Mosca, appare sospetta questa decisione di interrompere ad hoc lo sciopero delle analisi. E l’uscita ben poco provvida di Mario Draghi nel corso della conferenza stampa finale del G7, quel chiudere la porta alla presenza fisica di Vladimir Putin al G20 in Indonesia, cui il Cremlino ha risposta in maniera diretta e durissima (Non decide Draghi se Putin andrà o meno), dovrebbe farci riflettere sul grado di esposizione ostile che il nostro Paese sta assumendo verso un intero blocco economico-politico. E non solo contro il Cremlino. Nessuno fra gli altri leader, infatti, ha messo toccato l’argomento, da cui ci dividono infatti altri cinque mesi. Con le riserve di gas al 55%, almeno stando a fonti di governo, un azzardo enorme in vista dell’autunno.
Infine, una conferma ulteriore del valore strategico da quanto sta avvenendo sottotraccia è arrivata da Basilea, sede della banca per i Regolamenti Internazionali. Ovvero, la Banca centrale delle Banche centrali. La quale ha dato via libera e annunciato l’accordo per un liquidity pool con la Banca centrale cinese denominato in renminbi, di fatto uno strumento che agirà da stimulus backstop per i Paesi dell’area asiatica. Finora, una simile facility di liquidità era garantita dalla BIS solo in dollari e il timing scelto in Svizzera sembra confermare la presa d’atto del nuovo ordine ormai consolidato. Con l’Occidente e il suo sistema finanziario impegnato in un regime sanzionatorio senza precedente, un tale strumento - alla luce dell’appoggio incondizionato di Pechino per Mosca - si configura da subito come alternativa allo SWIFT per il sistema russo. Perché la BIS apre in questo modo a Pechino, strategia o presa d’atto? Forse solo perché, a differenza dei media italiani, sa leggere la realtà.
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