L’Opec ha rinviato la prossima riunione, gettando un’ombra sul mercato petrolifero. Cosa succede tra i Paesi del cartello e perché il prezzo del petrolio è ora in calo.
Il prezzo del petrolio ha chiuso la settimana in calo, in un contesto piuttosto incerto dopo lo slittamento della riunione Opec da domenica 26 novembre a giovedì 30 novembre.
Le quotazioni Brent e WTI sono scese rispettivamente dell’1,46% e del 2,50% alla fine della giornata di scambi di venerdì 24 novembre. L’attesa degli investitori è ora tutta per la decisione del cartello dei produttori del petrolio, che ha gettato nel caos lo scenario a breve termine del greggio quando si è diffusa la notizia che il 26 novembre non ci sarebbe più stato l’incontro.
Il clima tra i Paesi petroliferi dell’organizzazione si è fatto incandescente per una disputa sulle quote di produzione degli Stati africani Nigeria e Angola, costringendo il potente leader Opec Arabia Saudita a prendere più tempo per arrivare a un accordo.
I riflettori sono accesi sulla politica di taglio alla produzione caldeggiata finora soprattutto da sauditi e russi, che temono un raffreddamento della domanda e un calo dei prezzi nel 2024. Il petrolio è inoltre osservato speciale nel contesto della guerra in corso tra Israele e Hamas, che rischia ancora di allargarsi nella regione.
Cosa succede tra i membri Opec e perché il petrolio è in calo
Il petrolio ha registrato rilevanti perdite nella giornata di venerdì 24 novembre, dopo che il rilascio di alcuni ostaggi a Gaza ha ridotto il premio per il rischio geopolitico. Tuttavia, le quotazioni hanno oscillato nella settimana che ha visto l’Opec rimandare la sua riunione.
Mercoledì scorso, il cartello ha infatti sorpreso il mercato posticipando l’incontro dopo che i produttori hanno faticato a raggiungere un consenso sui livelli di produzione. Le quotazioni Brent e Wti hanno subito un tonfo, diffondendo incertezza sul già delicato equilibrio tra domanda e offerta del greggio.
Nel dettaglio, l’Opec è in trattative per modificare gli obiettivi del 2024 fissati per Angola e Nigeria, creando una situazione di stallo e di conflitto.
La disputa ha riportato in primo piano un disaccordo iniziato a giugno, quando Angola, Congo e Nigeria furono spinti dal ministro dell’Energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, ad accettare obiettivi di produzione ridotti per il 2024 che riflettevano le loro limitate capacità. Negli ultimi anni gli esportatori africani sono emersi come produttori molto fragili, a causa di investimenti insufficienti nel settore estrattivo, interruzioni operative e giacimenti petroliferi obsoleti e non rinnovati.
All’ultima riunione di giugno, Angola e Nigeria sono state costrette ad accettare limiti molto bassi per il 2024, rispettivamente a 1,28 milioni di barili al giorno e 1,38 milioni di barili al giorno.
I Paesi avevano accettato con riluttanza queste nuove quote, con la pretesa di esportare di più. La Nigeria ha recentemente dimostrato di poter superare i suoi nuovi limiti. Secondo i dati del segretariato dell’Opec, il mese scorso la nazione ha pompato 1,416 milioni di barili al giorno, ovvero 36.000 barili al giorno al di sopra del suo obiettivo per il 2024.
Nell’ambito dell’accordo concordato a giugno, gli Emirati Arabi Uniti si sono assicurati il diritto di aumentare modestamente la produzione a gennaio al fine di implementare le recenti aggiunte di capacità.
Un compromesso ora è necessario all’Opec e ai suoi partner per concordare misure che restringano le forniture nel 2024, quando si teme un rallentamento della domanda e un calo dei prezzi.
Cosa accadrà al presso del petrolio?
Si prevede che i leader dell’Opec+, Arabia Saudita e Russia, estenderanno almeno a poco più di 1 milione di barili al giorno di tagli alla produzione durante il primo trimestre 2024, per ridurre il surplus. Potrebbero anche annunciare tagli più profondi per scoraggiare gli speculatori ribassisti, secondo RBC Capital Markets LLC e il gestore di hedge fund Pierre Andurand.
I futures del greggio Brent sono scesi di circa il 15% negli ultimi due mesi, attestandosi venerdì a circa 81 dollari al barile. Con questi prezzi, le entrate del cartello si stanno erodendo. Secondo Bloomberg Economics, l’Arabia Saudita potrebbe aver bisogno di petrolio vicino ai 100 dollari per evitare un deficit di bilancio. Le attese, quindi, sono tutte per un proseguimento della diminuzione di produzione petrolifera, che avrà un impatto al rialzo sui prezzi.
Un segnale positivo è arrivato dalle prospettive economiche a breve termine in Cina. I recenti dati cinesi e i nuovi aiuti al settore immobiliare indebitato possono essere “positivi per la tendenza a breve termine del mercato petrolifero”, ha affermato l’analista di CMC Markets Tina Teng.
Tuttavia, secondo gli analisti, questi guadagni potrebbero essere frenati da maggiori scorte di greggio statunitensi e da scarsi margini di raffinazione, portando a una domanda più debole da parte delle raffinerie statunitensi.
Inoltre, le prospettive a lungo termine della Cina rimangono tiepide. Gli analisti affermano che la crescita della domanda di petrolio potrebbe indebolirsi a circa il 4% nella prima metà del 2024 poiché la crisi del settore immobiliare pesa sull’uso del diesel.
Infine, gli analisti valutano anche la crescita della produzione non Opec è destinata a rimanere forte, con la società energetica statale brasiliana Petrobras che prevede di investire 102 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni per aumentare la produzione a 3,2 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno (boepd) entro il 2028, rispetto a 2,8 milioni di boepd nel 2024.
Il prezzo del petrolio è destinato a oscillare ancora e a suscitare interesse il prossimo anno, mentre gli investitori osservano attenti i fattori geopolitici e le dinamiche di crescita economica mondiale.
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