Per la Cassazione la caparra trattenuta dal venditore per la mancata stipula dell’atto di compravendita definitivo va dichiarata. Cosa rischia chi non la indica in dichiarazione?
Configura un reato l’omessa indicazione in dichiarazione della caparra trattenuta dal venditore per la mancata stipula dell’atto di compravendita definitivo.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione che nella sentenza n. 23837 depositata il 21 giugno 2022 ha confermato che il risarcimento del mancato guadagno va inserito tra i redditi tassabili.
Vediamo cosa rischia chi non indica in dichiarazione dei redditi la caparra trattenuta.
Caparra compravendita non dichiarata
La vicenda trae origine dalla condanna che il Tribunale competente ha inflitto a un contribuente per non aver indicato nella dichiarazione dei redditi la somma di 800mila euro, trattenuta per la mancata stipula di un atto di compravendita definitivo da parte del promissario acquirente.
Il Tribunale ha contestato al contribuente il reato di evasione fiscale, ritenendo che la somma costituisse reddito imponibile ai fini Irpef e pertanto andasse dichiarata. Rilevando una responsabilità penale nei confronti del contribuente, i giudici hanno disposto la confisca dei beni per un valore pari al profitto del reato.
In seguito la Corte d’Appello di Messina ha riformulato la sentenza di primo grado: da un lato ha estinto il reato per prescrizione, dall’altro ha confermato la confisca per la sola somma di denaro oggetto di sequestro.
Tuttavia l’imputato si è rivolto alla Corte di Cassazione per contestare il giudizio in appello, sollevando l’obiezione che i giudici non avessero determinato la natura del corrispettivo prima di considerarlo reddito tassabile. Al momento della
stipula del contratto preliminare, la somma versata dal promissario acquirente può essere qualificata in termini di caparra confirmatoria, clausola penale o caparra penitenziale con effetti diversi ai fini dell’imposizione diretta.
A suo dire, la caparra era stata ricevuta nell’ambito della propria sfera privatistica e non costituiva reddito tassabile, poiché non vi era stato alcun incremento di ricchezza.
La caparra trattenuta è reddito imponibile?
I giudici di legittimità hanno invece confermato che la clausola penale che risarcisce in caso di inadempimento, ossia la caparra confirmatoria, genera «redditi tassabili per un soggetto privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai sensi dell’articolo 67 del Tuir». Per tale ragione deve essere dichiarata al Fisco in modo da evitare una condanna per evasione fiscale.
La Corte ha dunque respinto il ricorso promosso dal contribuente richiamando alcune sentenze precedenti:
Quando il contratto preliminare viene rispettato, la caparra viene infatti imputata al prezzo finale, assoggettabile ad Iva, e costituisce base imponibile su cui calcolare le imposte (cfr., Cass. Sent. n. 17868/2021; Cass. Sent. n. 7340/2020; Cass. Sent. n. 3736/2019).
La clausola penale è tassabile, in quanto la prestazione principale rimasta ineseguita (cessione dell’immobile) avrebbe costituito reddito ai sensi dell’articolo 67 Tuir (cfr., Cass. Sent. n. 11307/2016).
Gli Ermellini hanno dunque ritenuto corretto l’operato del Tribunale e della Corte d’Appello, confermando il reato di dichiarazione infedele.
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