Per scoprire quali sono le città più costose per servizi e spesa alimentare, la Codacons ha messo a confronto prezzi e tariffe nei principali centri italiani: ecco la classifica aggiornata.
Costa meno fare la spesa a Napoli che a Milano. Non si tratta del comune cliché che divide il Mezzogiorno dal Nord Italia, ma una classifica redatta con dati alla mano.
Di fronte ai forti incrementi causati dall’inflazione, pari al +7,9% solo questo luglio, il Codacons ha deciso di realizzare un’indagine sul carovita di ben 17 grandi province italiane, confrontando i listini al dettaglio forniti dal ministero dello Sviluppo economico.
Volendo scendere maggiormente nel dettaglio, dai dati è emerso che per tagliare i capelli agli uomini conviene trasferirsi a Catanzaro, dove bastano in media poco più di 14 euro contro i 26 euro di Trieste, mentre per le donne la destinazione migliore è Napoli, dove per il taglio si spendono solo 11,8 euro contro i ben 27,2 euro a Bari. Ancora se si ha voglia di un cappuccino di certo non conviene ordinarlo a Trento, dove costa 1,68 euro, mentre è meglio berlo a Roma dove in media costa 1,18 euro.
Per poter avere un quadro corrispondente alla realtà, il Codacons ha deciso non solo di guardare alla spesa per i generi alimentari ma anche a quella dei servizi, come lavanderie, bar, parrucchieri, dentisti e molto altro, ne emergono quindi due classifiche ben distinte. Ecco quali sono le città più costose e le più economiche d’Italia: le classifiche aggiornate.
Le città dove si spende di più per la spesa alimentare: la classifica
Carne, pane, ortofrutta, pesce. Sono solo alcuni dei prodotti che il Codacons ha inserito nel proprio paniere di beni alimentari per confrontare il costo della spesa alimentare nelle 17 province italiane.
Tra di queste Milano si conferma la città più cara dove per fare la spesa alimentare occorre spendere ben 116 euro - il 17,7% in più della media nazionale - con il salmone che raggiunge un costo proibitivo di quasi 30 euro al kg.
La città più economica si conferma essere Napoli, dove per i generi alimentari si spende il 54% in meno rispetto Milano: un divario consistente, impossibile da ignorare. Volendo scendere nei particolari, ecco la classifica aggiornata del Codacons:
- Milano (116 euro);
- Aosta (109,91 euro);
- Genova (107,91 euro);
- Trieste (107,29 euro);
- Bologna (105 euro);
- Firenze (104,70 euro);
- Trento (104,68 euro);
- Torino (103,96 euro);
- Roma (101,92 euro);
- Perugia (101,05 euro);
- Venezia (98,95 euro);
- Cagliari (97 euro);
- Bari (88,85 euro);
- Pescara (87,17 euro);
- Catanzaro (79,33 euro);
- Palermo (86,97 euro);
- Napoli (75,16 euro).
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Le città dove si spende di più per i servizi
La classifica cambia invece per quanto riguarda i servizi. Nel proprio paniere il Codacons ha inserito qualsiasi tipologia, dai bar ai parrucchieri, passando per le tintorie, fino alla visita dal ginecologo e dal dentista.
Questa volta ad aggiudicarsi il titolo di città più costosa è invece Aosta con una media di 458 euro, vale a dire il 29,7% in più sulla media nazionale. Di seguito l’intera classifica aggiornata:
- Aosta (458 euro);
- Trento (435,89 euro);
- Milano (435,20 euro);
- Trieste (421,87 euro)
- Bologna (415,93 euro)
- Venezia (404,73 euro)
- Torino (378,48 euro)
- Perugia (350,29 euro)
- Firenze (342,93 euro)
- Roma (330,41 euro)
- Bari (318,44 euro)
- Cagliari (315,22 euro)
- Genova (310,98 euro)
- Catanzaro (298,85 euro)
- Pescara (279,40 euro)
- Palermo (270,52 euro)
- Napoli (241,33 euro)
Anche in questo caso Napoli risulta la città più economica, come in realtà la maggior parte delle città del Mezzogiorno, che risultano le più convenienti sul fronte dei prezzi al dettaglio. Eppure, secondo il Codacons “la forbice è destinata a ridursi”. Stando agli ultimi dati Istat sull’inflazione, province come Catania, Palermo e Messina hanno registrato un maggiore un rialzo annuo dei prezzi pari o superiori del 9% contro una media nazionale del 7,9%.
In ogni caso, come ha dichiarato il Codacons la crescita dei listini al dettaglio è quanto mai “allarmante”, andando a erodere il potere d’acquisto delle famiglie, incrementando in questo modo il tasso di povertà nelle aree più disagiate del paese.
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