Come provare il danno morale e avere diritto al risarcimento

Francesca Nunziati

04/05/2022

Il danno morale è una sofferenza interiore soggettiva e un pregiudizio arrecato alla dignità e integrità. Vediamo come provarlo ai fini del risarcimento.

Come provare il danno morale e avere diritto al risarcimento

Il danno morale è una sottocategoria dei danni non patrimoniali.
Con l’espressione danno non patrimoniale ci riferiamo a tutti i pregiudizi o sofferenze derivanti dalla lesione dei diritti della persona non immediatamente quantificabili in termini economici (es. un trauma, l’invalidità fisica o psichica, la perdita di una persona cara a seguito di un’errata diagnosi etc.).

A oggi, nonostante le tutele previste dalla legge, questa tipologia di lesione emotiva, che spesso accompagna il danno alla persona – come nel caso di infortunio o sinistro stradale – può essere contestata, e dunque negata, dalle Compagnie assicurative. Occorre una valida assistenza legale, in grado di individuare, se ricorrente, la specifica norma costituzionale violata dal comportamento del danneggiante e di provare, semmai in giudizio, l’effettiva esistenza e gravità della sofferenza subita.

Tra i danni non patrimoniali sono da considerare in primis il danno biologico, una lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona; il medesimo ha ripercussioni, prima di tutto, sulle attività quotidiane e sulle dinamiche relazionali, ancor prima di rilevare dal punto di vista della sua capacità di produrre reddito.

Poi il danno esistenziale che colpisce la sfera personale della vittima, facendola cadere in uno stato che le rende impossibile condurre le abitudini ed uno stile di vita pari a quello avuto prima di subire il danno.

Infine è previsto, appunto, il danno morale, ovvero il dolore, la sofferenza o il turbamento emotivo cagionato da un fatto illecito: un’alterazione dello stato emotivo che può essere di natura transitoria o permanente. A differenza del danno esistenziale, esso non si caratterizza per il mutamento delle abitudini e delle capacità relazionali, ma è una sofferenza interiore, per tale ragione difficile da accertare da un punto di vista probatorio. Ma analizziamo insieme come si è giunti a individuare una specifica categoria di danno e come è possibile provarlo ai fini del risarcimento.

L’iter giurisprudenziale

Inizialmente previsti dall’art. 2059 c.c., i danni morali venivano riconosciuti solo in favore di soggetti vittime di un illecito penale. La Cassazione, nel tempo, ha poi modificato questo aspetto.
Sin dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986, ai fini del risarcimento i danni morali erano definiti come “danno-conseguenza” e rientravano sotto la tutela dell’art. 2059 cod. civ., mentre il danno biologico veniva inteso come danno-evento, come lesione del diritto soggettivo della salute, e ricondotto nell’art. 2043 cod. civ..

Per questo motivo, non era ammesso il risarcimento dei danni morali in assenza di un danno biologico.

È solo con le sentenze n. 8827 e 8828 del 2003 e con le sentenze “San Martino” n. 26972, 26973, 26974 e 29674/2008 che la Corte di Cassazione ha scardinato questa impostazione, riconducendo il sistema risarcitorio a una bipartizione tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, quest’ultimo considerato come categoria unitaria, comprendente ogni ipotesi di lesione di un valore inerente la persona, non connotato da rilevanza economica, atteso che la Carta Fondamentale tutela la persona nelle sue molteplici componenti.

Il danno non patrimoniale, pertanto, come abbiamo visto, si estrinseca in tre dimensioni: il danno esistenziale, il danno biologico e il danno morale.
In particolare, ribadiamolo, il danno morale viene definito come sofferenza transeunte, turbamento psicologico contingente dell’individuo in dipendenza dal fatto illecito; esso coincide con il pretium doloris derivante dalla sofferenza intima patita dal soggetto in seguito all’illecito subito.

La difficile prova del danno morale

Affinché venga accordato il risarcimento dei danni morali, al pari di qualsiasi altra specie di danno, non è sufficiente avanzarne la pretesa, incombendo sul danneggiato l’onere di provare:

  • l’evento lesivo;
  • il danno patito;
  • il collegamento eziologico con la condotta illecita del responsabile.

Si tratta, infatti, di un corollario dell’intero sistema giuridico in materia di responsabilità, al quale non è dato sopperire in modo alcuno da parte del giudice. Anche ove il risarcimento dei danni morali venga rimesso, nella sua quantificazione monetaria, alla valutazione equitativa del giudice ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., grava sempre sul danneggiato l’onere probatorio circa il danno patito e il suo rapporto causalistico con la condotta ascritta al danneggiante.
Tale dimostrazione non è sempre agevole.

Infatti, se per il risarcimento dei danni fisici è sufficiente la perizia medico-legale, che attesta la lesione e la sua connessione causale con il fatto che l’ha prodotta, il discorso si rende maggiormente complesso, da un punto di vista probatorio, per quanto concerne il risarcimento dei danni morali.
Questi ultimi dovranno, infatti, essere dimostrati e allegati da parte del danneggiato, sia nella loro entità (qualitativa e quantitativa) che per la loro derivazione causale dall’illecito subito.

A tal fine ben possono essere impiegate prove testimoniali e documentali, secondo quanto ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 339/2016, in occasione della quale è stato affermato che: «pur essendo possibile ottenere il risarcimento dei danni morali in via autonoma e distinta dal risarcimento dei danni fisici, occorre, però, che le prove prodotte dal danneggiato siano utili a determinare la presenza di una sofferenza, diversa dal danno biologico, causata dalle lesioni subite».

Come si quantifica il risarcimento del danno morale

In tema di risarcimento del danno morale la quantificazione è parametrata a criteri uniformi, in relazione ai quali la tabella elaborata dal Tribunale di Milano è la più nota e adoperata.

Volendo semplificare, il sistema di calcolo impiegato per la liquidazione del danno biologico avviene mediante il “valore punto” fissato dalla tabella, il quale aumenta o diminuisce a seconda dell’entità del pregiudizio subito, nonché di ulteriori variabili soggettive come, per esempio, l’età dell’interessato.
Questa tabella è periodicamente aggiornata per rispondere alle valutazioni monetarie nel tempo intervenute.

L’ultima versione aggiornata è del primo gennaio 2021 che, oltre ad aver adeguato i valori di riferimento all’indice di rivalutazione Istat ha, altresì, introdotto talune variazioni sul piano lessicale in ordine alle fattispecie di danno, in modo tale da rendersi coerente con gli ultimi approdi in materia della giurisprudenza di legittimità.

Di tal guisa, è stato sostituito il riferimento al danno biologico con il danno dinamico-relazionale e anche il danno morale è stato trasformato nel danno da sofferenza soggettiva interiore, secondo quanto affermato dalla Cassazione con sentenza n. 25164/2020. A ogni punto di invalidità è attribuito un determinato valore monetario.

L’art. 138 comma 2 lett. e) del codice delle assicurazioni stabilisce che: a un valore individuato in maniera standardizzata, per il risarcimento dei danni fisici e morali, si applica la cosiddetta “personalizzazione”, che attribuisce rilevanza a conseguenze anomale, eccezionali e peculiari verificatesi nel caso di specie e provate dal danneggiato.

Tale meccanismo consente, quindi, una personalizzazione del risarcimento dei danni morali e, più in generale, dei danni non patrimoniali la quale, se da un lato mantiene una certa uniformità e omogeneità nei giudizi liquidatori, dall’altro consente di dare giusto rilievo alle peculiarità delle singole vicende storiche, come evidenziato dalla Cassazione con sentenza n. 7513/2018.

Si pensi solo che la personalizzazione può portare a un aumento del risarcimento fino al 30%.

Quando il danno morale matura in assenza di una lesione all’integrità fisica (ad esempio quando si chiede il risarcimento dei danni per calunnia, oppure per diffamazione) viene applicato il criterio equitativo.

Il risarcimento del danno in sede civile

Dal punto di vista procedurale, il risarcimento dei danni morali, così come per il risarcimento dei danni fisici, di quelli esistenziali o patrimoniali, prende le mosse da un eventuale, ma consigliabile tentativo di ricerca di un accordo bonario fra le parti.

Ove questo fallisca o non venga intrapreso, colui il quale chiede il risarcimento dei danni morali potrà percorrere (entro il termine prescrizionale di 5 anni dal fatto illecito) la via giudiziaria. A tal fine dovrà rivolgersi a un legale affinché, previa raccolta del materiale probatorio, rediga un atto di citazione da notificare al danneggiante e al terzo responsabile civile (per esempio, l’assicurazione nel caso di danno morale da sinistro stradale).

Da tale momento, le parti citate in causa possono costituirsi mediante comparsa di costituzione e risposta.

Il risarcimento del danno in sede penale

Nella prassi, ben può accadere che il risarcimento dei danni morali, piuttosto che il risarcimento dei danni fisici, esistenziali o patrimoniali, sia conseguenza della commissione di un fatto che è previsto dalla legge come reato e, come tale, in ordine al quale venga a instaurarsi un procedimento penale.

In tali ipotesi, il danneggiato si trova dinanzi a due facoltà: costituirsi parte civile nel procedimento penale, oppure intentare un’autonoma azione civile per far accertare la responsabilità del danneggiante.

Laddove l’interessato scelga la strada della costituzione di parte civile nel processo penale (artt. 74 ss. c.p.p.), egli deve provvedere entro e non oltre il termine di apertura dell’istruttoria dibattimentale, a pena di decadenza, con la necessaria assistenza di un difensore nominato di fiducia.

Possono costituirsi parte civile:

  • la “persona offesa” dal reato, cioè il titolare del bene giuridico direttamente colpito dal reato. È il caso, ad esempio, del risarcimento danni per la calunnia, o per la diffamazione subite. La persona offesa è anche il soggetto legittimato a presentare querela, per l’avvio del procedimento penale, potendo già indicare nella denuncia i danni morali patiti.
  • il “danneggiato dal reato”, ossia la persona che, pur non titolare del bene giuridico leso dal reato, ne viene indirettamente coinvolta. È l’esempio, nel caso del risarcimento danni da amianto degli eredi del defunto, i quali possono agire iure proprio per il risarcimento dei danni morali da perdita della relazione affettiva col familiare.

In tal occasione, la parte civile avanza e motiva la propria richiesta di risarcimento dei danni morali o di risarcimento dei danni fisici, o patrimoniali, al pari di quanto avrebbe fatto nella causa civile.

Al momento della decisione, il giudice di merito si pronuncia non solo sulla responsabilità penale dell’imputato, ma anche circa la pretesa risarcitoria del danneggiato (art. 538 c.p.p.). In particolare, il giudice penale può rimettere gli atti al giudice civile per provvedere alla liquidazione del danno, eventualmente liquidando una parte del risarcimento per la quale ritiene raggiunta la prova (c.d. provvisionale) o statuire direttamente sul punto (art. 539 c.p.p.).

Si può concludere affermando che il danno morale essendo un turbamento, un patimento di tipo psichico, non è facile da dimostrare.

In base alle sentenze della Corte di Cassazione non basta dimostrare l’evento dannoso per fatto illecito altrui, ma per ogni forma di risarcimento richiesto è necessario provare il nesso causale e che il danno sia conseguente unicamente a tale evento.

Questo tipo di danno andando a incidere sulla sfera intima del danneggiato, può essere provato anche tramite la prova presuntiva. Cioè il giudice può presumere che dal comportamento illecito di un soggetto che va a ledere un altro soggetto sia naturale che seguano dei danni psicologici, patemi d’animo. Per la prova presuntiva può essere importante la prova testimoniale, cioè la prova di persone che conoscono il danneggiato e sanno che una determinata lesione può aver prodotto un elevato danno psicologico.

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