Le pene per la violenza sulle donne sono davvero troppo morbide? Ecco cosa prevede la legge italiana.
La legge n. 168/2023 ha introdotto cambiamenti significativi nella lotta contro la violenza sulle donne, nel tentativo di velocizzare i procedimenti e tutelare le vittime in maniera più efficace. I tristi dati sui maltrattamenti e sui femminicidi a poco meno di un anno di distanza dall’entrata in vigore della citata legge ci ricordano purtroppo che la strada da percorrere è ancora molto lunga.
Si tratta di un problema complesso, che necessita di essere trattato sotto vari punti di vista, non soltanto giuridici. Spesso, invece, si ritiene che l’eccessiva indulgenza legislativa sia l’ostacolo principale nella lotta contro la violenza di genere. In realtà, dal punto di vista prettamente punitivo, il regime è piuttosto severo. La rigidità della pena non è un certo sinonimo di deterrenza, tuttavia, (basta guardare gli indici di criminalità nei Paesi con pena di morte per scoprirlo) e dipende da diversi altri fattori, incluse l’applicazione della pena stessa e dalla visibilità stessa delle notizie relative alle condanne.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, non è oggi possibile fare una valutazione completa. I dati Istat sulle condanne sono risalenti al 2018, con 3.462 condanne per maltrattamenti in famiglia, mediamente intervenute dopo 31 mesi (in primo grado) e 58 mesi (in appello) dal fatto.
Come viene punita la violenza sulle donne?
Dal punto di vista teorico, la legge del 2023 introduce diverse misure di contrasto alla violenza contro le donne. Dalle misure preventive, come il braccialetto elettronico e la sorveglianza speciale, alla priorità assoluta nella trattazione di alcuni processi. La sorveglianza dinamica e la possibilità di arresto fino a 48 ore dopo il fatto accertato (quindi in mancanza della vera e propria flagranza) sono ulteriori strumenti posti a tutela delle donne che subiscono maltrattamenti, peraltro sottoposti a schemi rigorosi di controllo.
Insomma, almeno sui libri di testo l’Italia ha tutte le carte in tavola per invertire la rotta della violenza domestica, anche se è evidente che ci sono delle storture. In parte, ci sono significative carenze nell’applicazione pratica delle norme. In secondo luogo, la dimensione giuridica non è l’unico spettro in cui si muove il problema.
Ciò è particolarmente chiaro se si guarda alle pene previste per i reati di violenza contro le donne, che ricordiamo devono essere considerati nel quadro legislativo italiano, senza connotazioni morali o etiche che difficilmente potrebbero tenere il passo.
Partiamo dai maltrattamenti in famiglia, articolo 572 del Codice penale, puniti con la reclusione da 3 a 7 anni. Se dal fatto derivano lesioni personali gravi, la pena va da 4 a 9 anni, in caso di lesioni personali gravissime da 7 a 15 anni, mentre in caso di morte da 12 a 24 anni (si tenga presente che la pena della reclusione per l’omicidio volontario è di 21 anni nel minimo). La pena viene inoltre aumentata se il fatto è commesso a danno o in presenza di minori, donne in gravidanza, persone con disabilità o con l’utilizzo di armi.
Gli atti persecutori - così l’articolo 612 bis del Codice penale definisce lo stalking - sono puniti con la reclusione da 1 anno a 6 anni e 6 mesi. La pena è sempre aumentata se la vittima e l’autore del reato sono legati da una relazione affettiva e anche se il reato viene commesso con mezzi telematici. La pena aumenta fino alla metà se la vittima è una donna in gravidanza, un minore o una persona con disabilità.
La violenza sessuale è invece punita con la reclusione da 6 a 12 anni, salvo aggravati, e la vittima può sporgere querela fino a 12 mesi dal fatto. C’è poi il reato specifico di deformazione dell’aspetto della persona (con lesioni permanenti al viso), punito con la reclusione da 8 a 14 anni, che arriva all’ergastolo in caso di morte della vittima. Un altro reato apposito è quello di violazione del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare, punito con la detenzione da 6 mesi a 3 anni e 6 mesi.
La legge n. 168/2023 ha anche introdotto un obbligatorio aumento della pena per i reati commessi da soggetti già ammoniti dal Questore, per i quali le forze dell’ordine possono inoltre procedere d’ufficio. Si può quindi osservare che le pene previste dall’ordinamento non sono basse come si può pensare, dovendo necessariamente pensare ad altre cause del problema, cominciando piuttosto dall’applicazione delle pene (nel tema della punibilità).
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