Congedo per allattamento a rischio, cos’è e a chi spetta

Simone Micocci

17 Marzo 2025 - 15:33

Ecco come funziona il congedo per allattamento a rischio, a chi spetta, quali sono i requisiti e come farne richiesta.

Congedo per allattamento a rischio, cos’è e a chi spetta

La tutela della maternità nel mondo del lavoro è fondamentale e contempla anche l’allattamento.

Soltanto con previsioni specifiche è possibile tutelare la salute della madre e il benessere del neonato, agendo positivamente per il supporto della natalità e per la promozione della parità di genere nella sfera professionale. Il periodo dell’allattamento necessita di strumenti adeguati alla salvaguardia del benessere psicofisico di mamma e bambino, eliminando le situazioni di rischio almeno per quanto possibile, senza che ciò abbia conseguenze negative sull’attività lavorativa.

Ecco perché oltre ai riposi successivi al congedo obbligatorio, la legge contempla anche un congedo per allattamento a rischio. Vediamo di cosa si tratta e chi può usufruirne.

Cos’è il congedo per allattamento a rischio

Il congedo per allattamento a rischio serve a tutelare la lavoratrice madre e il neonato da pericoli collegati all’attività lavorativa. Quando possibile la lavoratrice dipendente deve essere assegnata a mansioni differenti e compatibili con l’allattamento, avendo altrimenti diritto all’astensione dal lavoro. Quest’ultima è un vero e proprio obbligo di legge a cui nemmeno la dipendente può rinunciare, pertanto la retribuzione viene corrisposta per intero dal datore di lavoro, che poi viene rimborsato dall’Inps. È bene precisare che la lavoratrice non sceglie discrezionalmente tra il cambio di mansione e il congedo, essendo quest’ultimo riservato alle ipotesi in cui non è possibile assegnare la dipendente ad attività sicure.

A chi spetta il congedo per allattamento a rischio

I fattori di rischio per l’allattamento, guardando al benessere complessivo tanto del neonato quanto della madre, possono essere di vario tipo. Si possono individuare:

  • Agenti fisici, come le radiazioni ionizzanti (1 millisievert all’anno), i rumori forti (oltre i 90 decibel), forti sollecitazioni termiche o anche vibrazioni agli arti o in tutto il corpo, come accade su navi e treni per esempio.
  • Agenti biologici, che comprendono tutti gli elementi che espongono alle malattie infettive;
  • Agenti chimici, come fumi, polveri, sostanze nocive e tossiche, mercurio e così via.
  • Sforzi fisici importanti, mantenimento di posture prolungate, uso di scale o impalcature.

L’allattamento a rischio è quindi una realtà di determinati settori lavorativi:

  • il settore industriale;
  • il settore della sanità;
  • il settore della ristorazione e del commercio alimentare;
  • il settore dell’agricoltura;
  • il settore estetico e parrucchiere;
  • il settore alberghiero e domestico;
  • il settore scolastico.

Si pensi all’infermiera e all’insegnante a rischio di contrarre malattie infettive, come pure alla parrucchiera che impiega prodotti chimici potenzialmente nocivi. Queste lavoratrici hanno diritto a una sostituzione con mansioni idonee e sicure (o in alternativa al congedo) fino ai 7 mesi di vita del figlio. Quando il fattore di rischio è dovuto alle vibrazioni o all’ultima categoria (grossi sforzi, postura prolungata, uso di scale e impalcature) il periodo di tempo si riduce a 3 mesi, salvo diverse previsioni eccezionali.

Come richiedere il cambio mansioni o il congedo

Il datore di lavoro è obbligato per legge a tutelare la lavoratrice al rientro della maternità, adibendo la dipendente a mansioni sicure o collocandola in congedo. La lavoratrice deve quindi inoltrare un’istanza all’ispettorato territoriale del lavoro competente soltanto se è necessario usufruire del congedo, non prima di aver fornito al datore di lavoro il certificato di nascita del figlio entro 30 giorni dal parto.

In questo modo il datore di lavoro ha tempo durante il congedo di maternità per organizzare al meglio l’occupazione della lavoratrice al suo rientro. In caso di impossibilità (o rifiuto) la dipendente deve quindi richiedere l’astensione direttamente all’Ispettorato con una domanda scritta contenente:

  • i propri dati anagrafici;
  • i dati del datore di lavoro;
  • la sede e il luogo di effettivo impiego;
  • il settore lavorativo e la qualifica;
  • il tipo di contratto e le mansioni;
  • l’eventuale assenza per malattie o ferie;
  • l’indicazione della data del parto con autocertificazione o certificato di nascita;
  • la dichiarazione del datore di lavoro circa le mansioni vietate e l’impossibilità di adibire la dipendente ad altro;
  • la data di presentazione del certificato medico di nascita al datore.

La domanda si conclude con l’informativa sulla privacy secondo il Regolamento (UE) 2016/679, la data e la firma della lavoratrice. Quest’ultima potrà presentare ricorso contro il rifiuto dell’Ispettorato entro 10 giorni dalla risposta attraverso una diffida formale, da inoltrare quindi con raccomandata a/r o pec.

Iscriviti a Money.it