In vista dell’esordio del 17 ottobre e dopo due giorni di tonfi del titolo, l’organismo di vigilanza lancia una puntuta messa in guardia e impone in toto la modalità rolling. Rilancio o usato sicuro?
Ci si sente quasi in imbarazzo ad affrontare certi argomenti, quando il Parlamento sta confrontandosi duramente su tematiche di stretta attualità come il fascismo o la battaglia di Lepanto. Altresì, in ballo ci sono soltanto 1,6 miliardi di soldi pubblici. Inezie, argent de poche in tempo di famiglie con il gas staccato dalla sera alla mattina.
Preso atto dell’approccio politicamente scorretto del tema, il quadro è il seguente. Monte dei Paschi si appresta a varare il suo aumento di capitale, previsto a partire da lunedì 17 ottobre, nelle seguenti condizioni di mercato: dopo il -33% di ieri, oggi un sobrio -42% con il titolo a 9,90 euro. Addirittura sotto la soglia psicologica della doppia cifra. Ma non basta. Perché il meglio - o il peggio, al lettore la scelta - deve ancora venire.
Quando le contrattazioni stavano chiudendo, ecco che Consob - nel dare il via libera formale all’operazione - ha operato come le emittenti televisive di fronte a un match di wrestling o a un film con contenuto erotico: ha emanato un comunicato stampa che, nei fatti, è un disclaimer. Quasi un don’t try this at home in salsa bancaria. Perché quando l’ente di controllo del mercato scrive che l’aumento in questione presenta caratteristiche di forte diluizione e tale circostanza determina il rischio che durante il periodo di offerta in opzione delle nuove azioni si verifichi una forte volatilità del prezzo delle azioni dell’emittente, inclusa una sopravvalutazione del prezzo di mercato rispetto al suo valore teorico, forse c’è da porsi qualche domanda.
Non fosse altro per un piccolo, insignificante particolare: il 64% di quella banca è ancora in mano al Tesoro. E in effetti, la Consob va anche oltre alla mera messa in guardia, visto che l’intera operazione sarà disciplinata con una modalità rolling, in base alla quale - una volta iniziato l’aumento - sarà possibile esercitare i diritti di opzione in ciascun giorno dell’aumento a partire dal terzo e ricevere in via «anticipata» le azioni di nuova emissione. Insomma, oltre alla messa in guardia, persino l’indicazione dell’uscita di emergenza. Lampeggiante.
Ma perché? Cosa contiene di tanto simile alla kryptonite per Superman o all’aglio per Dracula quel piano? Ad esempio, il prezzo della nuova azione viene fissato a 2 euro e il rapporto di concambio è di 347 nuove azioni ogni 3 di quelle già in possesso, Tradotto? Molto probabilmente, la volontà è quella di abbattere la quota di partecipazione al capitale di chi non sottoscrive l’aumento. Detto fatto, vendite a cascata. Sia ieri che oggi.
In compenso, i bond hanno festeggiato alla grande. E questo conferma ulteriormente il potenziale di rischio. Perché il +40% dei subordinati su tutte le scadenze significa solo una cosa: scampato pericolo. Perché l’ok all’aumento blinda il miliardo e 600 milioni che andrà in capo allo Stato sui 2,5 totali di aumento, di fatto garantendo che il livello di capitale della banca emittente quella carta non scenda sotto la quota limite che, per legge, trasforma proprio quei bond in equity destinata a partecipare all’aumento. Non si festeggia una soluzione, solamente il rinvio del problema.
La sensazione è che tutto si sia basato unicamente sulla blindatura dell’operazione, a nessuno interessava realmente il livello di soddisfazione cui andavano incontro le condizioni. D’altronde, i giorni precedenti al via libera vedevano Rocca Salimbeni concentrata unicamente sulla rapida conclusione del processo di conversione del contratto da pre-underwriting a di garanzia da parte del consorzio di banche che dovranno eventualmente garantire l’inoptato.
E le cifre in gioco, in effetti, parlano da sole. Su 2,5 miliardi di aumento, infatti, 1,6 sono appunto in capo allo Stato come azionista di maggioranza dell’istituto tramite il Tesoro. A interessare davvero, perché formalmente unici che possono essere definiti di mercato, sono quindi i rimanenti 900 milioni. Di questi, circa 600 verranno sottoscritti - in caso di inoptato - da soggetti istituzionali italiani ed esteri, fra cui AXA e le fondazioni toscane con in testa CariFirenze.
Poi, al netto del pulviscolo che dovrebbe far capo a Casse previdenziali e fondi sondati dal Tesoro - garbato eufemismo per descrivere una moral suasion quasi irresistibile, pari al doom loop sui BTP -, resterebbero quindi circa 300 milioni in capo alle banche d’affari. Ma, come ovvio, solo a fine collocamento si potrà davvero tirare la proverbiale riga. Una cosa è certa, però. E fin da ora. Dopo il primo mega-aumento da 8,2 miliardi, di cui 5,6 messi dallo Stato, i contribuenti stanno garantendo tramite quegli 1,6 miliardi, tutti gli 8-900 milioni necessari a Siena per finanziare gli oltre 4mila esuberi volontari di lavoratori di MPS. Un abbattimento dei costi che Lovaglio quantifica in 270 milioni all’anno, già a partire dal 2023.
Il resto servirà a tamponare lo shortfall di capitale messo nel mirino dalla BCE, quindi a rendere la banca formalmente un cavallo di razza risanato. E pronto a correre libero dalle briglie statali. Ma per finire nelle mani di chi, stante l’obbligato addio del Tesoro? Fra i sottoscrittori compaiono anche il finanziere francese Denis Dumont e il fondo Algebris di Davide Serra, entrambi ex azionisti del Credito Valtellinese sotto la gestione proprio dell’attuale CeO di Monte dei Paschi, Luigi Lovaglio. Chi controlla oggi Creval? Ovviamente, solo una suggestione. Nulla di vero. A parte l’inquietante disclaimer della Consob.
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