Contributi a fondo perduto: al via le verifiche dell’Agenzia delle Entrate. Ecco chi rischia (e cosa).
Contributi a fondo perduto: sono partite le verifiche dell’INPS, a rischio i titolari di partita IVA esercenti attività d’impresa, lavoro autonomo e di reddito agrario che ne hanno fatto richiesta pur non soddisfandone i requisiti.
Dei veri e propri controlli lampo, con l’Agenzia delle Entrate che - dopo essere arrivata a 4,2 miliardi complessivi di erogazioni - sta procedendo per controllare che non ci siano tentativi di frode nelle richieste pervenute.
Come noto, infatti, inizialmente il controllo della domanda è stato solamente preliminare, in quanto le verifiche si concentrano perlopiù nella fase successiva a quella di erogazione del contributo. A rischiare sono quei soggetti che hanno tentato - e per il momento ci sono anche riusciti - a beneficiare del contributo pur non avendone diritto; vediamo come e quali sono i soggetti a rischio nel mirino del Fisco.
Contributi a fondo perduto: al via i controlli
Quando si avvicina l’esaurimento delle risorse per l’erogazione dei contributi a fondo perduto - su un totale di 5 miliardi stanziati con il Decreto Rilancio ne sono stati già erogati 4,2 miliardi - ecco che l’Agenzia delle Entrate ha deciso di concentrarsi sulla fase dei controlli.
Una fase che per scelta è successiva a quella di erogazione del beneficio, poiché solamente in questo modo è stato possibile completare i pagamenti in tempi brevi. I controlli preliminari, probabilmente, avranno fatto sì che alcuni “furbetti” siano riusciti ad ottenere comunque il beneficio; ma ciò non toglie che questi presto potrebbero essere scoperti e costretti a restituire quanto ricevuto (con annesse sanzioni).
Nel dettaglio, i controlli dell’Agenzia delle Entrate si concentreranno su quelle Partite IVA da anni inattive e che per l’occasione dei contributi a fondo perduto sono tornate ad essere improvvisamente attive. Così come per quei casi di imprese che pur avendo omesso la dichiarazione dei redditi negli ultimi anni hanno comunque fatto domanda del beneficio.
Gli uomini dell’Agenzia delle Entrate, quindi, sono impegnati a fermare i tentativi di coloro che hanno messo su un sistema di “scatole vuote” per accedere ai contributi, come pure di coloro che in passato sono già stati protagonisti di frodi.
Situazioni che l’Agenzia delle Entrate intende scovare anche grazie alla sinergia con la Guardia di Finanza, la quale si occuperà dell’azione di verifica, come tra l’altro messo nero su bianco nell’atto di indirizzo sulle politiche fiscali emanato dal MEF, dove si legge che:
Le attività di controllo relative all’indebita fruizione delle agevolazioni previste per fronteggiare le ricadute negative sul tessuto economico nazionale connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Nel dettaglio, un ruolo centrale in questa fase di controlli l’avranno le fatture elettroniche, visto che l’Agenzia procederà ad un incrocio dei dati indicati nelle stesse con i corrispettivi telematici. Il controllo incrociato interesserà anche i dati delle comunicazioni per la liquidazione IVA e quelli presenti nelle dichiarazioni IVA stessa.
Si ricorda che per il completamento delle procedure per la verifica di correttezza sui contributi a fondo perduto ci sono otto anni di tempo; fino allo scadere di questi termini, quindi, coloro che hanno provato a fare domanda e sono riusciti ad ottenere i contributi rischiano di essere scoperti e di essere soggetti a severe sanzioni.
Controlli Agenzia delle Entrate: quali rischi?
Si ricorda che il Decreto Rilancio ha previsto diverse sanzioni per coloro che hanno fatto domanda per il contributo a fondo perduto non avendone diritto. Ad esempio, chi ha rilasciato un’autocertificazione di regolarità antimafia non conforme è punito con la reclusione da 2 a 6 anni.
Per tutti gli altri casi di fronde, l’Agenzia delle Entrate non solo chiederà indietro le somme erogate: l’importo da restituire, infatti, è maggiorato di una sanzione che va dal 100% al 200% dell’importo erogato, a cui si aggiunge un 4% annuo di interessi.
Inoltre, per questi si applica quanto previsto dall’articolo 313-ter del Codice Penale, che prevede una reclusione che va dai 6 mesi ai 3 anni.
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