Il tasso di mortalità del coronavirus in Italia è più alto di quello registrato a Wuhan. Com’è possibile?
Le morti di persone affette da COVID-19 in Italia hanno ormai raggiunto numeri davvero preoccupanti. Nelle ultime 24 ore, soltanto la Lombardia ha visto morire 135 persone, portando il numero di decessi in Italia a 631, la cifra più alta dopo la Cina.
In molti si chiedono perché proprio il nostro Paese sia stato colpito in maniera così tragica, nonostante le misure di controllo approvate sin dal verificarsi dei primi casi. La stampa specializzata e gli scienziati hanno provato a dare una risposta.
Coronavirus, più morti in Italia a causa dell’età media avanzata?
La prima causa del gran numero di morti in Italia è l’età della popolazione, una delle più alte d’Europa. È dimostrato che il coronavirus colpisce con maggior ferocia i pazienti anziani, e può essere fatale se ad età avanzata si aggiunge un quadro clinico complesso.
Secondo il New York Times, che cita i dati della Nazioni Unite, circa il 23% della popolazione italiana ha 65 anni o più. L’età media è invece di 47,3 anni, per paragone quella degli Stati Uniti è di 38,3.
Walter Ricciardi, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha spiegato che molte vittime soffrivano già per gravi malattia e che il coronavirus “le ha destabilizzate”. Molte altre, invece, erano ultraottantenni. Tuttavia non basta l’età a spiegare l’alta fatalità del virus in Italia.
Alto tasso di mortalità del coronavirus in Italia: le ragioni
Con l’ultimo bollettino, infatti, il coronavirus dimostra di avere nel nostro Paese un tasso di mortalità del 6,2%, molto più alto della media globale del 3,4% registrata dall’OMS e oltre 6 volte maggiore del tasso registrato in altri Paesi europei e della Corea del Sud (fra lo 0,5% e l’1%).
Secondo Susanna Esposito dell dell’Associazione mondiale delle malattie infettive e i disordini immunologici (Waidid), la letalità del coronavirus in Italia è addirittura di 12 volte superiore rispetto ad altri Paesi. L’alto numero di decessi in Italia si deve spiegare dunque anche con altri fattori.
Del primo ne ha parlato Aubree Gordon, professoressa di Epidemiologia all’Univiersità del Michigan citata da Scientific American. Si tratta della concentrazione di casi in una data area che hanno bisogno di cure mediche: un gran numero di persone in gravi condizioni può sopraffare il sistema ospedaliero.
Gordon ha citato il caso di Wuhan, in cui il tasso di mortalità era arrivato al 5,8% mentre nel resto della Cina era dello 0,7%. L’Italia ha visto un altissimo numero di contagi in una zona specifica e ad altra densità, la Lombardia.
Quanti sono gli asintomatici in Italia?
In Italia potrebbero esserci molti casi lievi o asintomatici che, se scoperti, abbasserebbero di molto il tasso di mortalità.
Per Krys Johnson, epidemiologa della Temple University, i numeri del contagio di coronavirus in Italia sono più alti, ma molti fra giovani o persone con sintomi lievi non sono state testate e la fatalità in Italia è molto più simile al 3,4% della media globale.
Morti coronavirus, in Italia pochi tamponi
Secondo Waidid, inoltre, un altro fattore che ha aggravato l’entità dell’epidemia in Italia è il basso numero di tamponi effettuati. “Diagnosi precoce, isolamento e trattamento sono i cardini per tenere a bada l’epidemia. Ma la tracciabilità si rivela fondamentale”, ha avvertito Susanna Esposito all’Adnkronos.
“Ritengo sia corretto invitare la popolazione a stare a casa, ha detto Esposito, ma non basta. È essenziale che ai contatti stretti di casi positivi sia effettuato il tampone per la ricerca di Covid-19, cosa che finora è avvenuta in una assoluta minoranza di situazioni”. Al momento il tampone è previsto soltanto per chi ha già mostrato sintomi.
Individuare i casi di coronavirus è importante per contenere il contagio e impedire l’aggravarsi di situazioni a rischio. La Corea del Sud, ad esempio, nelle prime fasi dell’epidemia ha effettuato tamponi a tappeto. In questo modo il Paese ha scoperto moltissimi casi (quasi 8.000) ed è riuscito a contenere il numero di morti (60).
Citando la ricerca del The Lancet, l’infettivologa ha aggiunto che gli ultimi dati “dimostrano come la mediana dell’eliminazione virale sia di 21 giorni e non di 14 giorni”. La quarantena di due settimane, quindi, non basterebbe.
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