La Lombardia resta sotto i riflettori per la gestione del coronavirus. Mentre contagi e decessi sono ancora preoccupanti, si fanno i primi bilanci sulle responsabilità politiche dell’epidemia. Ecco, quindi, alcuni errori di Fontana e Gallera.
Il coronavirus in Lombardia continua a produrre morti, malati e polemiche. Dopo la bufera scatenata dal piano di riapertura proposto dalla regione per il 4 maggio, ora il governatore Fontana smorza i toni e dichiara che si affiderà senza indugi a scienziati e tecnici prima di riavviare le attività.
La regione, però, resta nel mirino delle critiche, visto che è la più colpita e il sistema sanitario è crollato sin da subito. Inoltre, le indagini sulla gestione - e la strage - delle RSA sta facendo il suo corso, mostrando inefficienze e dubbi sull’operato anche dell’ente regionale.
Quali sono le reali responsabilità dei massimi vertici lombardi? Un’inchiesta di Milena Gabanelli per il Corriere della Sera cerca di dare una risposta, elencando tutti gli errori di Giulio Gallera e Attilio Fontana nella gestione dell’epidemia.
Gli errori di Fontana e Gallera nella gestione epidemia
In Lombardia il coronavirus ha registrato fino al 16 aprile più di 11.500 decessi per coronavirus, con un aumento di morti in 24 ore di 231 unità. Numeri ancora preoccupanti, seppure in andamento leggermente al ribasso.
La regione resta in testa a livello nazionale per persone colpite da COVID -19, distaccandosi anche da Veneto e Emilia Romagna, che pure hanno affrontato un’epidemia grave.
Confrontando i dati soprattutto sulla mortalità, infatti, emergono importanti differenze tra i tre territori: su 10.000 abitanti, i lombardi deceduti per coronavirus sono 11, 6 in Emilia Romagna e 2 in Veneto.
Un’osservazione attenta della gestione emergenziale in Lombardia mostra che carenze sanitarie ci sono nella ricca regione del Nord e si sono palesate proprio con la crisi da coronavirus. Inoltre, non sono escluse alcune responsabilità nelle decisioni regionali.
Ecco, allora, alcuni errori di Fontana e Gallera in Lombardia. La regione non è esente da rimproveri.
Sistema ospedaliero inadeguato
La crisi del sistema ospedaliero lombardo è balzata subito agli occhi con l’esplodere dell’emergenza contagiati.
I posti letto di terapia intensiva a disposizione a febbraio 2020 erano circa 8,5 su 100.000 abitanti. Un numero che si è subito dimostrato inadeguato alla crisi di malati (in confronto Emilia Romagna e Veneto ne avevano 10 ogni 100.000 persone).
Non solo, il 30% delle terapie intensive è risultata di proprietà di strutture della sanità privata convenzionata. Il primo sforzo della regione, quindi, è stato tutto rivolto a contrattare con i gestori delle cliniche la messa a disposizione di letti per malati gravi.
Intanto, i medici restavano senza linee guida chiare su come agire e non c’erano dispositivi di protezione per il personale sanitario in azione.
Scarso controllo territoriale dei contagi
Ritardi e poca organizzazione sono state riscontrate anche nella gestione della sorveglianza dei contagi a livello territoriale. Negli ospedali lombardi troppo spesso sono arrivati malati in condizioni già piuttosto gravi.
I medici di base, ad esempio, non hanno ricevuto in tempo indicazioni regionali utili per intervenire in modo tempestivo ed efficiente su contagiati o sospetti tali in isolamento nelle abitazioni.
Il 23 marzo, ad un mese dal focolaio di Codogno, è stata emessa la delibera per la gestione sul territorio della COVID-19. Sono state, quindi, istituite le Unità speciali di continuità assistenziale per effettuare visite domiciliari. Uno strumento, comunque, tardivo.
Gestione RSA
Uno dei temi più controversi nella gestione epidemia in Lombardia è senza dubbio la questione delle RSA.
Il divieto di visite dei familiari nelle case di riposo regionali è arrivato soltanto il 4 marzo, mentre il giorno 8 marzo la regione ha acconsentito il ricovero presso alcune strutture RSA di malati di coronavirus meno gravi, con lo scopo di alleggerire gli ospedali al collasso.
Una gestione, questa dei positivi nelle case di riposo, che non ha funzionato, anche a causa di scarsa disponibilità di protezioni per gli assistenti.
Tamponi insufficienti
Le osservazioni della Gabanelli si chiedono come mai la regione Lombardia non ha preso decisioni autonome sui tamponi. Rispetto a Veneto e Emilia Romagna, per esempio, il territorio lombardo si è adattato esclusivamente alle direttive ministeriali.
In realtà, avrebbe potuto decidere di effettuare test maggiori a infermieri e medici, seguendo una linea autonoma. Ma non lo ha fatto, prediligendo per molto tempo solo i plurisintomatici ed escludendo un’intensificazione dei test.
Poca autonomia nelle decisioni
Pur invocando da sempre maggiore autonomia decisionale, Fontana e Gallera hanno dimostrato un atteggiamento anomalo durante la crisi coronavirus.
La polemica scoppiata sulle mancate zone rosse di Alzano e Nembro, per esempio, ha reso noto che la regione poteva decidere in autonomia, ma ha aspettato il provvedimento del Governo. Perdendo, così, tempo prezioso per arginare i contagi.
Il coronavirus in Lombardia, quindi, sta mettendo - purtroppo - in luce le diverse carenze sanitarie già esistenti sul territorio. E gli errori politici di Fontana e Gallera, che non possono dirsi proprio “estranei” da responsabilità.
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