Sentenze di Cassazione: custodia cautelare in carcere confermata per l’avvocato che truffa il cliente, ma solo quando la recidiva è concreta e attuale.
Corte di Cassazione: custodia cautelare in carcere anche per l’avvocato che truffa il cliente in maniera non occasionale. Le motivazioni per le quali la scarcerazione non è possibile sono state indicate dalla suprema Corte nella sentenza n°29519 del 13 giugno 2017, con la quale è stata fatta chiarezza sui presupposti di applicabilità della misura cautelare in carcere.
Prima di vedere quali sono queste condizioni facciamo un piccolo passo indietro analizzando il significato di custodia cautelare. Questa è una misura coercitiva, disciplinata dall’art. 285 Codice di procedura penale, che consiste nella privazione di libertà all’interno di una struttura carceraria. Può essere disposta dal:
- GIP: nel corso delle indagini preliminari;
- GUP: nel corso dell’udienza preliminare;
- giudice: nel corso del processo.
Nel caso della custodia cautelare, quindi, un soggetto non viene messo in carcere perché ritenuto colpevole di un eventuale reato, poiché questa viene disposta nei confronti di chi è indagato o imputato affinché questo resti a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Trattandosi di una misura che priva una persona, la quale non è detto che sia colpevole, della propria libertà, la custodia cautelare in carcere può essere disposta solamente nel caso in cui ogni altro strumento si riveli inadeguato.
Ed è qui che interviene la sentenza n° 29519 della Corte di Cassazione, con cui sono stati indicati i presupposti necessari per l’utilizzo di questo strumento.
Corte di Cassazione: quando disporre della custodia cautelare
La suprema Corte con la suddetta sentenza ha ribadito l’orientamento consolidato riguardante i presupposti necessari per disporre della custodia cautelare in carcere nei confronti di un indagato o di un imputato.
Nel dettaglio, questa ha stabilito che il giudice deve valutare il concreto e attuale pericolo di recidiva. Concretezza e attualità, quindi, sono due elementi fondamentali per l’utilizzo di questa misura cautelare coercitiva.
Secondo la giurisprudenza per valutare che un soggetto se lasciato in libertà possa commettere nuovamente il reato per il quale è indagato deve considerare elementi di fatto esistenti. Il reato, infatti, non può essere ipotizzato in astratto, altrimenti verrebbe a mancare il presupposto della concretezza necessario ai fini della custodia cautelare.
Per quanto riguarda l’elemento dell’attualità, invece, bisogna valutare sia le modalità del fatto imputabile, che la personalità del soggetto e il contesto socio-ambientale in cui si trova. Se una volta analizzati questi elementi si nota un’alta probabilità di reiterazione da parte del soggetto allora uno degli organi autorizzati può decidere se disporre la custodia cautelare in carcere.
Ribadite questi presupposti, la Corte di Cassazione ha confermato la custodia cautelare coercitiva nei confronti di un avvocato colpevole di aver truffato un proprio cliente.
Corte di Cassazione: resta in carcere l’avvocato che truffa il cliente
La Corte di Cassazione con la sentenza 29519/2017 ha dovuto decidere se confermare oppure no la custodia cautelare ad un avvocato indagato per truffa aggravata e continuata nei confronti di un suo assistito, e di falso in atto pubblico e autoriciclaggio.
Nel caso di specie, l’avvocato è accusato di aver riscosso illegalmente la metà dell’importo di un risarcimento spettante al proprio assistito per un sinistro stradale.
Per farlo il legale ha mostrato una sentenza falsificata nella quale era indicato un importo di liquidazione dei danni inferiore a quello reale, riuscendo così ad intascare la parte restante.
Per la Corte di Cassazione questo comportamento integra una condotta delittuosa dell’avvocato professionista, consistente nell’abuso del rapporto di fiducia con il proprio cliente. Senza contare poi l’esistenza di numerose pratiche di sinistri presentate dall’avvocato al Fondo di garanzia per le vittime della strada, le quali hanno delle caratteristiche simili a quelle dell’atto illecito alla base del processo.
Il comportamento tenuto dal legale quindi manca del criterio di occasionalità che sarebbe stato sufficiente per far venir meno la custodia cautelare; il pericolo di recidiva in questo caso è concreto e attuale visto che la condotta delittuosa è reiterata nel tempo. Ecco perché, secondo la Corte di Cassazione, l’avvocato deve restare in carcere.
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