Debito/Pil: cos’è e perché è utilizzato dagli economisti come “termometro” per valutare la salute dell’economia di un Paese. A quanto ammonta in Italia?
Il rapporto debito/Pil è uno di quegli indicatori che sembra essere sempre nel mirino degli analisti e degli esperti. Per questo è importante sapere perché il rapporto tra debito pubblico di uno Stato e il suo Prodotto Interno Lordo sia così importante.
L’Italia, per esempio, è spesso indicata come nazione poco virtuosa a causa dell’elevato valore di questo indicatore. In sostanza, il peso dell’indebitamento delle casse statali sul Prodotto interno lordo risulta troppo alto e, quindi, espressione di conti in disordine e debolezza economica.
In sostanza, il debito pubblico mostra quanti soldi ha preso in prestito uno Stato per far fronte a spese e investimenti altrimenti non finanziabili. Su di esso vengono pagati gli interessi, che sono sempre somme “tolte” alle casse statali e spendibili, per esempio, per scuola, sanità, istruzione pubbliche.
Il 2023 si è concluso con un debito pubblico al 134,6% del Pil nel nostro Paese. Sebbene in calo rispetto al 138,1% dell’anno precedente, la percentuale è considerata preoccupante e in lieve diminuzione solo perché il Pil è cresciuto con una maggiore inflazione.
È però sempre più utilizzato come strumento per misurare lo “stato di salute” di un Paese, soprattutto da quando, in base al Patto di stabilità e crescita, gli Stati dell’Unione monetaria sono tenuti a mantenere tale rapporto entro il limite del 60%.
L’indicatore debito/Pil acquista è cruciale poiché indica quanto il debito del Paese pesi sulle finanze dello stesso e misura quanto un Paese deve restituire ai suoi creditori, cioè a tutti coloro che hanno acquistato titoli di Stato.
Vediamo in dettaglio di seguito cos’è il debito/Pil, perché differisce dal deficit, in cosa risiede la sua importanza e a quanto ammonta in Italia.
Debito/Pil, cos’è e differenze con deficit/Pil
Per debito pubblico di uno Stato si intende:
l’ammontare di denaro che uno Stato deve ai suoi creditori e risulta dalla somma di tutti i deficit accumulati negli anni.
Spiegato in parole semplici, un Paese che opera in deficit ha meno entrate rispetto alle uscite e deve quindi ricorrere a finanziamenti esterni per avere il denaro che manca a coprire le spese. In questo modo fa debito, emettendo titoli di Stato o accendendo prestiti.
A questo punto occorre distinguere il rapporto debito/Pil con il deficit pubblico sul Pil. Quest’ultimo, infatti, misura la differenza tra il gettito in entrata e le spese pubbliche sostenute. Secondo i parametri Ue, il deficit pubblico deve rimanere al di sotto del 3% del Pil, anche se pochi sono i Paesi virtuosi in grado di rispettare tale limite.
Vi è, senza dubbio, una stretta correlazione tra i due indicatori: se vi è deficit pubblico significa che lo Stato ha speso più di quanto ha incassato e, per farlo, è stato necessario il ricorso al debito pubblico.
Ciò significa che il debito pubblico è aumentato dal momento che non sono stati emessi titoli obbligazioni o imposte tasse sufficienti per andare in pari.
Bisogna però fare attenzione: il rapporto debito/Pil mette a confronto due grandezze diverse.
Il debito misura uno “stock”, una quantità calcolata in un preciso momento e che può, come spesso avviene, accumularsi nel tempo.
Il Pil, invece, misura una grandezza flusso e corrisponde al valore totale delle operazioni durante un intervallo di tempo preso come unità di misura. Esso misura la produttività di un Paese: quantifica il valore dei beni e servizi prodotti in un determinato periodo.
Proprio per questo, mettere a confronto debito e Pil può portare ad analisi ambigue e inconcludenti, che non rappresentano in modo chiaro la reale situazione di un Paese.
Perché si sceglie allora di rapportare il debito pubblico al Pil?
La risposta è abbastanza semplice: poter misurare la possibilità che ha uno Stato di ripagare il proprio debito. In sostanza per capire quanto è forte l’economia di un Paese.
Debito/Pil: è davvero così importante?
Il rapporto debito/Pil è spesso osservato da investitori esterni per capire quanto sia forte e credibile l’economia di un Paese.
Gli economisti, però, non sono in grado di indicare precisamente quale percentuale sia la soglia massima tollerabile prima che una nazione indebitata possa crollare in una vera e propria crisi.
Tutto dipende, in realtà, dalla cd. “illusione finanziaria”: se i sottoscrittori del debito, soprattutto se stranieri, avvertono la sensazione che il debito possa sfuggire al controllo del Governo, non saranno più disposti ad affidare i loro capitali a quello Stato, creando improvvise crisi di sfiducia.
Un Governo attento deve quindi sempre bilanciare norme più rigide che diminuiscano l’ammontare del debito con norme che rilancino la produttività del Paese e lo sviluppo economico.
Tutto ciò mette in luce il valore, spesso sottovalutato, della credibilità di un Paese nei confronti dei suoi partner economici e delle istituzioni europee e internazionali.
Avere un alto debito è di certo un’allerta, ma questa non si trasforma in allarme se il Paese in questione ha dei piani credibili di contenimento della spesa, investimenti e crescita e se possiede una struttura finanziaria, industriale, istituzionale solida.
L’Italia è sempre in bilico tra stato di allerta e allarme e puntualmente è chiamata dall’Ue a presentare piani di rilancio che possano progettare riduzioni del debito/Pil.
Il debito/Pil in Italia
Il Piano strutturale di bilancio che l’Italia ha presentato Bruxelles, con il via libera dell’Ue, illustra gli obiettivi economici e finanziari dei prossimi anni.
Il debito/Pil è tra gli indicatori maggiormente osservati. Secondo questo programma, che mira a ridurre il debito pubblico nazionale, il 2024 si concluderà con un debito/Pil al 135,8%. Il 2025 vedrà la percentuale del rapporto al 136,9% e il 2027 al 137,5%.
Si nota che l’andamento è di crescita del debito/Pil fino al 2026, con una lieve discesa dal 2027.
L’outlook sulla dinamica del debito pubblico italiano secondo le stime di Bruxelles evidenzia un 136,6% nel corso del 2024, un 138,2% nel 2025 e al 139,3% nel 2026. Percentuali più alte di quelle stimate dal Governo, a testimonianza di un indicatore assai ostico per il nostro Paese.
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