Un nuovo studio sull’immunità di gregge svela dettagli sulla reale efficacia di questa strategia nella lotta al coronavirus. Ecco cosa si è scoperto.
Si torna a parlare di immunità di gregge. Vi ricordate la famosa strategia adottata inizialmente da Boris Johnson nel Regno Unito per combattere l’epidemia favorendone la sua diffusione? Ebbene, un nuovo studio condotto in Spagna fornisce informazioni importanti sul suo possibile raggiungimento.
Cos’è l’immunità di gregge
Quando all’inizio dell’epidemia il governo britannico ha annunciato la propria strategia sul coronavirus, ovvero non cercare di contenerlo ma favorire lo sviluppo dell’immunità di gregge, il mondo era rimasto di sasso.
Tecnicamente, con l’espressione “immunità di gregge”, “di gruppo” o “di branco” si indica una forma di protezione collettiva a un’infezione verso la quale la maggior parte della popolazione è immune. Questa immunità si può raggiungere tramite vaccinazione (es: il morbillo. Un numero significativo di bambini vaccinati riduce le probabilità che altri lo prendano) oppure in modo naturale (superando la malattia con anticorpi propri).
In sostanza, più persone raggiungono l’immunità a un’infezione, più si riduce la possibilità di contagio tra infetti e suscettibili. In questo modo si andrebbe a contenere o sconfiggere una malattia.
L’immunità di gregge è spesso citata dai no-vax come scusa per non sottoporre i propri figli e se stessi a vaccino. Ma si tratta di un comportamento irresponsabile e scriteriato. Infatti l’immunità di gregge non è una garanzia né un qualcosa di statico che una volta raggiunto non si può perdere. Con il passare del tempo la percentuale dei non vaccinati aumenta e con essa il rischio di ritorno di malattie dimenticate.
L’immunità di gregge può funzionare contro il coronavirus?
Veniamo ora alla questione più scottante. L’immunità di gregge si può raggiungere/può funzionare contro il coronavirus? Nel caso del Covid-19, non esistendo ancora un vaccino, si parla da tempo della possibilità di far sviluppare l’immunità nei cittadini grazie a un primo contagio.
Una ricerca condotta in Spagna e pubblicata sulla prestigiosa rivista medica Lancet ha messo in dubbio la fattibilità dell’immunità di gregge come mezzo per contrastare la pandemia.
Gli studiosi hanno preso in esame 60.000 persone e sono giunti alla conclusione che solo il 5% circa della popolazione spagnola abbia sviluppato anticorpi. Nelle regioni costiere la presenza di anticorpi era inferiore al 3%, ma maggiore nelle aree con focolai diffusi.
L’immunità di gregge si ottiene quando un numero abbastanza ampio di persone contrae un virus e ne ferma così la diffusione. Per far sì che i non infetti siano protetti, però, circa il 70-90% della popolazione deve diventare immune.
L’immunità di gregge raggiunta attraverso una vaccinazione di massa è ovviamente ben diversa dallo sviluppo naturale. La diffusione incontrollata, infatti, può generare complicazioni come il rafforzamento del ceppo e l’aumento della trasmissibilità e rappresentare un rischio importante soprattutto per le fasce più deboli. Inoltre non ci si può basare sul presupposto che non ci si possa ammalare due volte. Un aspetto, questo, su cui gli scienziati stanno ancora indagando.
Anche se gli autori dello studio sottolineano che, nonostante il forte impatto del coronavirus in Spagna, i numeri sono insufficienti a fornire in modo accurato stime sull’immunità di gregge, si tratta del più grande studio del suo genere sul coronavirus in Europa. Esistono altri due studi di questo tipo, condotti uno in Cina e uno negli Stati Uniti. La scoperta chiave di queste ricerche è che la maggior parte della popolazione sembra essere rimasta non esposta al virus anche nelle aree in cui l’infezione si è diffusa a macchia d’olio.
Il 4 luglio lo scoppio di 9 focolai in Catalogna ha portato le autorità a reintrodurre il lockdown per 200.000 persone in 38 piccoli comuni della provincia di Segrià. Anche in Galizia, regione a nord-ovest della Spagna, sono tornate in vigore le restrizioni (lockdown, divieto di radunarsi in più di 10 persone, mascherina obbligatoria all’aperto...) per 70.000 persone dopo la scoperta di nuovi focolai probabilmente collegati alle attività dei bar e dei ristoranti nella zona.
© RIPRODUZIONE RISERVATA